Nessuna motivazione espressa con chiarezza, il rischio di tagliare l'Italia fuori da un'innovazione con previsioni di mercato che per il 2030 oscillano fra 5 e 25 miliardi di dollari e una vicenda che minaccia di seguire la scia di vicende come quelle Stamina e Xylella: così il mondo della ricerca scende in campo contro il disegno di legge che pone il veto alla carne coltivata e approvato il 12 luglio scorso dalle Commissioni nona e decima del Senato. Ma soprattutto è un ddl "inutile oggi perché si riferisce a un prodotto che in Italia non c'è" e sarà inutile "domani, quando l'Efsa e la Fda daranno l'autorizzazione", ha detto la senatrice Elena Cattaneo, nel convegno organizzato dal Gruppo per le Autonomie del Senato e dedicato al dibattito sul ddl. "Come è accaduto in passato nei casi Stamina e Xylella, si agisce d'impeto, si imbavagliano i ricercatori, si nega la possibilità di un futuro, si bloccano gli imprenditori", ha detto ancora .
Per Roberto Defez, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, si rischia di ripetere quanto è accaduto con ogm e farina di insetti, che in Italia non possono essere prodotti e che vengono regolarmente importati.
E' un tema sul quale si ragiona in prospettiva, perché la carne coltivata (chiamarla 'sintetica' è un errore, precisano i ricercatori) richiede ancora del tempo, anche se la ricerca sulle cellule staminali "ha già una lunga tradizione", ha osservato Graziella Messina, dell'Università 'Statale' di Milano e per la quale "questo ddl toglie una prospettiva di ricerca". Come ha osservato la senatrice Julia Untererger, è un ddl che vieta qualcosa che non c'è.
"Alla fine del 2019 erano 191 i brevetti depositati nel mondo", ha detto Sergio Sala, dell'Università di Pisa. Per la maggior parte, ha aggiunto, i brevetti sono stati depositati da Cina, Stati Uniti e Brasile e riguardano sia i cibi proteici coltivati (come carne, pollo e pesce) e le tecnologie per ottenerli, dal terreno di coltura alla stampa 3D.
Sono finora quattro i Paesi che hanno dato via libera al consumo dei cibi coltivati, ha detto Stefano Biressi, dell'Università di Trento. Il primo sì è arrivato nel 2020 da Singapore, dove un ristorante e una macelleria vendono pollo coltivato; negli Stati Uniti è arrivato nel 2022 il via libera della Food and Drug Administration al consumo di crocchette di pollo coltivate, vendute attualmente a San Francisco e a Washington; consumare carne coltivata è possibile anche in Israele e nei Paesi Bassi. Sono inoltre 180 le startup che nel mondo sono impegnate della ricerca sui cibi coltivati e, di queste, soltanto una è attiva in Italia. "E' un caso unico in Europa, dove alcuni Paesi sono molto attivi, in primo luogo i Paesi Bassi", ha rilevato Biressi. L'interesse è forte, ha aggiunto, "considerando che le previsioni di mercato per il 2030 prevedono almeno due scenari diversi a seconda del livello di accettazione da parte dei cittadini e degli avanzamenti tecnologici": di questi, il più pessimista prevede un mercato di 5 miliardi di dollari, il più ottimista di 25.
Sono positive anche le stime relative all'occupazione in questo settore, che solo per quanto riguarda il Regno Unito prevedono fra 9.200 e 16.500 posti di lavoro in più.
La scommessa per l'Italia è riuscire a cogliere una sfida tecnologica che, hanno osservato i ricercatori, riguarda una carne che "a tutti gli effetti è 'vera' carne animale" e sulla quale "non ci sono dati che indichino che non sia sicura per la salute".
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