Lo spazio e in particolare i viaggi spaziali di lunga durata , come le future missioni sulla Luna o su Marte , rappresentano una sfida enorme per la salute umana e richiederanno importanti progressi nel campo della medicina . È quanto emerge dal più vasto atlante dei problemi correlati , dalle alterazioni a livello delle cellule che compongono il sistema immunitario ai gravi danni a livello dei reni, messo a punto nell’ambito del progetto Soma (Space Omics and Medical Atlas) e pubblicato in 27 articoli su diverse riviste del gruppo Nature.
Gli studi comprendono l’analisi di campioni raccolti dal primo equipaggio della missione privata Inspiration4 del 2021 , il primo composto da persone che non erano astronauti di professione, a bordo della navetta Crew Dragon di SpaceX, e da diversi astronauti che hanno trascorso 180 giorni o un anno sulla Stazione Spaziale Internazionale , così come esperimenti condotti in laboratorio. I risultati sono fondamentali non solo per prepararsi ai lunghi voli spaziali del futuro , ma potrebbero anche portare a nuove strade per contrastare le conseguenze dell’invecchiamento sulla Terra .
Nel primo articolo pubblicato su Nature da Eliah Overbey della Scuola di Medicina americana Weill Cornell e colleghi, i dati raccolti indicano che anche il volo spaziale di breve durata in orbita terrestre bassa induce cambiamenti nell’organismo simili a quelli provocati da una permanenza maggiore: tra questi, si riscontrano elevati livelli di citochine (molecole che modificano l’attività delle cellule in risposta ad uno stimolo), e cambiamenti nell’ espressione di geni legati all’attivazione del sistema immunitario e alla riparazione dei danni causati al Dna. Oltre il 95% di questi parametri tornano a valori normali nei mesi successivi, ma alcuni mantengono valori alterati per periodi di tempo più lunghi, almeno tre mesi dopo la missione.
Uno degli studi, pubblicato su Nature Communications e coordinato da Mathias Basner dell’Università della Pennsylvania e Christopher Mason della Scuola di Medicina Weill Cornell indica per la prima volta come la microgravità influisce sulle cellule immunitarie . Analizzando cellule del sangue coltivate in un ambiente di microgravità simulata e combinando i dati con quelli provenienti da astronauti e topi che hanno raggiunto la Iss, i ricercatori hanno evidenziato che l’assenza di gravità modifica la struttura di questi guardiani dell’organismo e ciò, a sua volta, ne altera il funzionamento. Gli autori, però, hanno anche identificato alcuni composti che possono proteggere le cellule dagli effetti dannosi dello spazio : tra i più promettenti c’è la quercetina , un molecola di origine vegetale che si trova, ad esempio, nell’ uva , nelle cipolle rosse , nel the verde , nelle mele e nei mirtilli , e che si è dimostrata in grado di invertire il 70% dei cambiamenti causati dalla microgravità.
Tra gli articoli più interessanti anche quello guidato da Keith Siew dello University College London, pubblicato sempre su Nature Communications, che afferma come i reni verrebbero danneggiati in modo permanente e irreversibile da un’ipotetica missione su Marte , cosa che ovviamente ne pregiudicherebbe il successo. I risultati dello studio, che ha incluso campioni di astronauti e simulazioni in cui i topi sono stati esposti a dosi di raggi cosmici equivalenti a missioni di 1,5 e 2,5 anni, mostrano che i reni vengono rimodellati dalla permanenza nello spazio: in particolare i tubuli renali , che regolano l’equilibrio di calcio e sale, si restringono già dopo un mese, probabilmente più per la ridottai gravità che a causa dell’esposizione alla radiazione cosmica . “Se non sviluppiamo nuovi modi per proteggere i reni, un astronauta potrebbe riuscire ad arrivare su Marte – dice Siew – ma avrebbe bisogno della dialisi per il viaggio di ritorno. Inoltre, sappiamo che i reni non mostrano subito i danni provocati dalle radiazioni: quando questi diventerebbero evidenti – aggiunge il ricercatore – sarebbe probabilmente troppo tardi”.
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