La Morte Nera, la devastante pandemia di peste bubbonica che ha colpito l'Europa, l'Asia e l'Africa quasi 700 anni fa, ha plasmato anche l’evoluzione del Dna e del sistema immunitario umano: ha infatti favorito la diffusione di geni ‘vantaggiosi’, che all’epoca davano maggiori chance di sopravvivere all’infezione, ma che oggi ci rendono più suscettibili alle malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide e il morbo di Crohn. La scoperta arriva da uno studio internazionale guidato dall’Università canadese McMaster e da quella statunitense di Chicago, pubblicato sulla rivista Nature.
I ricercatori, guidati da Jennifer Klunk dell’università canadese e Tauras Vilgalys di quella americana, hanno raccolto più di 500 campioni di Dna da individui morti prima, durante e dopo la grande pandemia causata dal batterio Yersinia pestis, prelevati da sepolture situate a Londra e in Danimarca. Gli autori dello studio hanno così potuto identificare quattro geni che sono stati influenzati dall’evento, tutti coinvolti nella produzione di proteine che difendono il nostro organismo dall’invasione dei patogeni.
Gli individui che possedevano le varianti ‘buone’ di questi geni avevano dal 40% al 50% di probabilità in più di sopravvivere alla peste rispetto a chi aveva invece le altre varianti. Ciò significa che questi geni vantaggiosi sono poi stati trasmessi ai figli, causandone la diffusione. “Il vantaggio associato a queste varianti è tra i più forti mai riportati nell'uomo”, afferma Luis Barreiro dell’Università di Chicago, co-autore dello studio. “Ciò dimostra come un singolo patogeno possa avere un impatto così forte sull'evoluzione del sistema immunitario”.
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