In Gran Bretagna ok alla prima terapia genica basata sulla Crispr

Il Regno Unito ha dato l’ok alla prima terapia genica basata sulla Crispr, la tecnica taglia-e-cuci del Dna che è valsa il Premio Nobel per la Chimica 2020: si tratta di una cura per due malattie genetiche del sangue, l’anemia falciforme e la beta-talassemia. La terapia, chiamata Casgevy, è stata sviluppata dall’azienda americana Vertex Pharmaceuticals e da quella svizzera Crispr Therapeutics ed è in fase di valutazione anche negli Stati Uniti e in Europa. Il suo costo molto elevato, tuttavia, limiterà considerevolmente il numero di coloro che potranno beneficiarne: il prezzo non è stato ancora stabilito con esattezza, ma si stima che potrebbe essere intorno ai 2 milioni di dollari per paziente.

L’approvazione dell’Agenzia regolatrice inglese dei farmaci arriva dopo i risultati molto promettenti degli studi clinici effettuati su efficacia e sicurezza del trattamento. Per l’anemia falciforme, caratterizzata da una malformazione dell’emoglobina che produce globuli rossi a forma di falce (cosa che ne ostacola il movimento nei vasi sanguigni), Casgevy ha eliminato del tutto i dolori debilitanti per almeno un anno dopo il trattamento per 28 su 29 partecipanti. Per la beta-talassemia, in cui invece l’emoglobina alterata causa la distruzione dei globuli rossi, 39 dei 42 partecipanti non hanno più avuto bisogno delle trasfusioni mensili e gli altri 3 hanno visto ridursi questa necessità di oltre il 70%.

La terapia consiste nel prelevare cellule staminali dal midollo osseo dei pazienti e utilizzare poi Crispr per modificare un gene chiamato BCL11A, che impedisce la produzione di una forma di emoglobina presente solo nel feto: modificando questo gene, Casgevy riattiva la produzione di emoglobina fetale, che non presenta i difetti di quella adulta. Le cellule staminali così modificate vengono poi reinfuse nel midollo osseo dei pazienti e, nel giro di un mese circa, iniziano a produrre globuli rossi con la forma ‘sana’ di emoglobina. I partecipanti ai trial, che sono ancora in corso, hanno manifestato alcuni effetti collaterali come nausea, affaticamento, febbre e aumento del rischio di infezione, ma non sono stati identificati problemi significativi per la sicurezza.

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