Scienza e Tecnologia
Mercoledì 16 Ottobre 2024
Erano davvero mangiatori di uomini i due leoni africani dello Tsavo
La loro fama era meritata: erano davvero mangiatori di uomini i due leoni africani dello Tsavo , divenuti famosi intorno al 1898 per i loro attacchi a decine di operai che lavoravano alla costruzione della ferrovia tra Kenya e Uganda. La prova arriva grazie al Dna estratto dai peli rimasti incastrati tra i denti dei due esemplari , che si trovano ora conservati in un museo.
Lo studio pubblicato sulla rivista Current Biology, guidato da Università dell’Illinois a Urbana-Champaign e Museo di Storia Naturale Field di Chicago, è infatti riuscito a identificare la firma di sei specie diverse di prede divorate dai leoni: accanto all’uomo, ci sono anche giraffe, gnu, zebre e due specie di antilopi, l’orice e il cobo . “
La parte più importante di questo studio è stata la messa a punto di un metodo per estrarre e analizzare il Dna proveniente da singoli peli trovati nei denti di esemplari di musei storici”, dice Alida de Flamingh dell’Università dell’Illinois, che ha guidato i ricercatori insieme a Tom Gnoske del Museo Field. “Questo metodo può essere utilizzato in molti modi – aggiunge de Flamingh – e speriamo che altri ricercatori lo applichino per studiare il Dna ricavato da teschi e denti di altri animali”.
I due leoni dello Tsavo presentavano lesioni dentali, come canini rotti, che hanno permesso ai peli delle loro prede di accumularsi nelle cavità esposte : questa è stata la fortuna dei ricercatori, che hanno potuto così estrarre il Dna rimasto , anche se molto degradato, riuscendo a ricomporre abbastanza frammenti da permettere l’identificazione di diverse specie, esseri umani inclusi. A sorprenderli , però, sono stati soprattutto i peli di gnu : dal momento che l’area di pascolo di questi animali più vicina si trova ad oltre 80 chilometri dal punto in cui i leoni sono stati uccisi , o gli gnu vivevano in zone diverse in quel periodo o i due felini hanno viaggiato più di quanto si pensasse in precedenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA