Ansa Press Release
Lunedì 19 Settembre 2022
Colombi (UILPA). Uno strato di privilegiati punta sul declino della P.A.
Da un po’ di tempo l’attenzione di politici, tecnici e comunicatori è attratta dai problemi della Pubblica Amministrazione e dalle sue difficoltà organizzative, sia a livello nazionale che locale. Comincia a serpeggiare qualche preoccupazione sulla effettiva capacità della macchina pubblica di far fronte agli impegni assunti con l’Europa con il PNRR. Verrebbe quasi da dire: benedetto PNRR, perché hai aperto gli occhi a politici, esperti, giuslavoristi, professoroni, consulenti, giornalisti che possono così contemplare il disastro che hanno fatto richiedendo a gran voce e applicando in forza di legge le scellerate politiche neoliberiste fatte di tagli di spesa, blocco degli stipendi e riduzioni di personale.
Grazie a questo strato di privilegiati l’attuale condizione di salute della P.A. italiana è cattiva in generale e pessima in settori come i ministeri. In quasi tutte le strutture operative del comparto Funzioni Centrali si registra una forte carenza di personale, mentre l’età media viaggia intorno ai 55 anni e gli stipendi medi sono molto bassi (ad eccezione di quelli dei dirigenti, che invece sono molto alti e stanno facendo di tutto per aumentarli ancora). È inutile che in campagna elettorale i politici parlino di cloud computing, digit wallet, sportello virtuale e piattaforma unica per le imprese. Rischiamo di prenderci in giro e, soprattutto, di prendere in giro gli italiani.
Bisogna ascoltare la voce dei lavoratori per rendersi conto dell’entità e della profondità dei problemi. Chi lavora ogni giorno in prima linea negli uffici statali descrive ciò che vede intorno a sé, osserva il proprio microcosmo che, tuttavia, si riverbera e si moltiplica in quello di migliaia e migliaia di sedi di lavoro sparse in tutta Italia. La Pubblica Amministrazione vive in una specie di perenne debito d’ossigeno: perché gli stipendi della “manovalanza” impiegatizia non permettono di arrivare a fine mese, le sedi di lavoro sono spesso inadeguate e in non pochi casi fatiscenti; per di più le norme sono confuse e contraddittorie; mancano le competenze; gli assetti organizzativi delle strutture sono ispirati più alla logica dei controlli formali e dell’autotutela giuridica che dell’efficienza operativa; un buon numero di dirigenti (non tutti per fortuna) sono imbrigliati nei meccanismi del clientelismo politico da cui dipendono le loro carriere indipendentemente dal fatto che siano competenti o meno.
È stato fatto un deserto e adesso di punto in bianco lo strato di privilegiati di cui sopra pretende che d’incanto nasca un giardino, pretende che schioccando le dita si attui il PNRR. Queste pretese da parte di chi avrebbe dovuto chiedere scusa ai lavoratori e agli utenti dei servizi pubblici per i danni che hanno fatto all’amministrazione dello Stato e alla società italiana, queste pretese, dicevamo, costituiscono un’altra frustrazione che si aggiunge a tutte quelle accumulate in anni e anni di tagli e di insulti nei confronti dei dipendenti pubblici. Questo è ciò che vivono i lavoratori dello Stato tutti i giorni. Questo raccontano quando qualcuno ha voglia di ascoltarli.
Niente di nuovo sotto il sole? Forse. Se non fosse che abbiamo alle spalle vent’anni di riforme copernicane della P.A. E a furia di riforme, la P.A. (o almeno parti notevoli di essa) sta progressivamente arretrando verso un ruolo sempre più marginale nella società. Un ruolo che presuppone il trasferimento ai privati di un novero sempre maggiore e sempre più importante di servizi. Un ruolo che in un futuro neanche troppo lontano potrà facilmente essere svolto da macchine intelligenti. E, di certo, con un numero di occupati assai inferiore a quello di qualche anno fa, forse persino a quello di adesso.
Se questo fosse sin dall’inizio l’obiettivo dei riformatori seriali degli ultimi 20 anni non mi azzardo a dirlo, anche se un’idea me la sono fatta. Certo è che i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Del resto, uno dei punti salienti del PNRR è rappresentato proprio dall’adozione di notevoli risparmi nell’ambito delle politiche di spending review per gli anni 2023-2025 (Riforma 1.13). E l’obiettivo – il sito Italia Domani lo spiega con un certo orgoglio nella sezione dedicata allo stato di avanzamento delle riforme previste dal Piano – risulta tra i primi ad essere stato conseguito, in quando il “Documento di Economia e Finanza di aprile 2022 stabilisce un obiettivo di risparmio di spesa aggregato per le amministrazioni centrali dello Stato pari a 0,8 miliardi nel 2023, 1,2 miliardi nel 2024 e 1,5 miliardi dal 2025.” Più chiaro di così…
Resta un mistero comprendere come alcuni politici si avventurino a promettere in campagna elettorale 900mila nuove assunzioni nella P.A. da qui ai prossimi 5 anni. Va bene che ultimamente ci siamo abituati a sentirne di ogni sul pubblico impiego, dalla retorica degli eroi a quella dei vacanzieri in smart-working, ma a tutto c’è un limite. Le politiche economiche hanno le loro regole: se il PNRR impone di tagliare la spesa delle amministrazioni pubbliche, è evidente che gli organici delle (molte) amministrazioni in apnea non potranno mai essere integrate in modo adeguato.
Quindi le famose centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro nella P.A. o non arriveranno mai, o saranno il frutto avvelenato di una massiccia estesa e devastante campagna di precarizzazione destinata a trasformare radicalmente il concetto stesso di lavoro pubblico. E a distruggerlo, almeno nella forma in cui siamo abituati a conoscerlo. Per la UILPA opporsi a questa deriva è un dovere morale nei confronti dell’Italia che verrà e delle future generazioni di lavoratori che potrebbero non provare mai l’orgoglio di essere dipendenti pubblici per sentirsi permanentemente al servizio della collettività.
Roma, 19 settembre 2022
Sandro Colombi, Segretario generale UILPA
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