Colombi (Uilpa). NADEF: l’economia riparte e la spesa pubblica cede il passo

Nei giorni scorsi il governo ha presentato la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) per il 2021, che rivede le stime sull’andamento della nostra economia formulate ad aprile scorso nel Documento di Economia e Finanza (DEF).

Sin dalle prime righe del NADEF l’ottimismo abbonda: il PIL cresce al di sopra delle più rosee aspettative e per il prossimo futuro ci attendono importanti balzi in avanti. In dettaglio: la previsione di crescita del PIL per il 2021 è pari al 6%, contro il 4,5% ipotizzato ad aprile. La fase espansiva per la nostra economia proseguirà nel 2022, con un’ulteriore crescita del PIL pari al 4,2%, nel 2023 (+2,6%) e nel 2024 (+1,9%).

A questa tonificante doccia calda segue purtroppo una doccia fredda, anzi freddissima. Apprendiamo dal NADEF che per il 2021 e nei tre anni successivi si prevede una forte riduzione della spesa pubblica in relazione al PIL, al netto degli interessi. Se infatti nel 2020 la percentuale sul PIL era stata del 53,7%, nel 2021 sarà del 52,8% e andrà ancora diminuendo nel 2022 e nel 2023, fino a raggiungere il minimo nel 2024 con il 46%. In concreto significa un calo di circa 20 miliardi di euro di spesa complessiva nel 2022 e un incremento nei due anni successivi che, comunque, non la riporterà ai livelli del 2021.

Discorso simile per quanto riguarda la cosiddetta spesa corrente primaria, che include le retribuzioni dei dipendenti pubblici, i consumi intermedi, le pensioni e le altre prestazioni sociali. L’incidenza rispetto al PIL nel 2021 viene calcolata al 46,8% (nel 2020 è stata del 48,3%), ma scenderà al 43,9% nel 2022, al 42,2% nel 2023 e al 41,3% nel 2024. In termini nominali, la spesa corrente (al netto di interessi) nel 2024 sarà pressoché identica a quella del 2021, ossia circa 835 miliardi di euro.  

Una voce che ci riguarda molto da vicino è quella della spesa per i redditi da lavoro dipendente nella Pubblica Amministrazione, cioè stipendi e retribuzioni dei dipendenti pubblici. In percentuale di PIL, si passa dal 10,5% del 2020 al 10,1% del 2021. Negli anni successivi andrà sempre calando, sino al 9,1% nel 2024. Però l’andamento effettivo della spesa corrente per retribuzioni e stipendi pubblici seguirà un andamento diverso, dovuto all’effetto dei costi dei rinnovi contrattuali 2019-2021. Così, nel 2021 si stima un incremento della spesa per redditi da lavoro dipendente rispetto al 2020 pari al 3,2%, mentre nel 2022 l’aumento di spesa sarà del 5,2% rispetto al 2021. Poi nel 2023 ci sarà una brusca frenata (-2,9%), confermata nel 2024 (appena +0,3% rispetto al 2023).

Sono cifre previsionali, certo, ma ci chiediamo ugualmente in che modo questa flessione (che vale circa cinque miliardi di spesa in meno) si possa conciliare con l’assunzione di centinaia di migliaia di nuovi dipendenti nella Pubblica Amministrazione promessa dal governo. Come saranno pagati i neo-assunti? Con pacche sulle spalle? O tramite gli introiti dovuti a qualche bella raffica di tasse e balzelli da imporre ai soliti noti?

Le docce fredde non finiscono qua. Se si dà uno sguardo alle spese sociali ci si accorge che nel 2021 la spesa sanitaria corrente dovrebbe passare da 123,474 miliardi di euro nel 2020 a 129,449, con un incremento del 4,8% dovuto agli interventi necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria (vaccini in primis), ma in percentuale di PIL ci sarà un calo dal 7,5% al 7,3%.  Dal 2022 in poi la spesa sanitaria scenderà ritmo di un -2,3% medio annuo (e naturalmente scenderà l’incidenza sul PIL), che significa 3,7 miliardi di spesa in meno nel 2022 e altri 2,2 miliardi nel 2023.

Altra doccia fredda. Anche la spesa per prestazioni sociali appare destinata complessivamente a ridursi in percentuale sul PIL. Dal 24,1% del 2020 si scenderà al 22,7% del 2021, sino al 20,7% del 2024. All’interno di questa voce, tuttavia, si nascondono alcune differenze.  La spesa per le pensioni crescerà infatti di circa 25 miliardi di euro tra il 2021 e il 2024 (anche se diminuirà l’incidenza sul PIL), mentre le altre “prestazioni sociali” diminuiranno nello stesso periodo di circa 10 miliardi. In pratica: quello che viene dato con una mano si toglie con l’altra.

Per quanto si può comprendere dai dati che abbiamo illustrato, l’aumento del PIL – frutto dell’impegno e dell’abnegazione di milioni di lavoratori pubblici e privati – non si traduce in una crescita e in un miglioramento delle condizioni di vita e lavoro, né delle prestazioni che lo Stato garantisce a tutti i cittadini. È un grave errore.  La maggiore ricchezza prodotta deve sempre ritornare ai cittadini sotto forma di migliori retribuzioni e migliori servizi pubblici. Non esiste altro modo per consolidare la ripresa e garantire al Paese un futuro stabile di crescita economica e pace sociale.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 4 ottobre 2021

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