Sud Sudan, il grazie a Manuela è una caffetteria con il suo nome

SOLIDARIETÀ. Fisioterapista di Treviglio, entrata nell’83 nell’Istituto delle Piccole Apostole della Carità, è stata 14 anni nel Paese africano avviando tanti progetti sociali.

«Mamma Manuela» è il nome di una caffetteria-trattoria a Juba, capitale del martoriato Sud Sudan. L’hanno aperta, grazie a un’operazione di microcredito, alcune mamme di bambini con disabilità. E hanno scelto di chiamarla come la persona che ha dato loro questa possibilità, per loro enorme: Manuela Vittor, trevigliese che ha vissuto per 14 anni nel Paese dell’Africa Orientale. Giovedì 24 ottobre racconterà la propria esperienza alle 20,30 nella parrocchia di San Pietro in via Pontirolo a Treviglio (ingresso libero) nell’ambito degli appuntamenti del mese missionario.

A Juba per 14 anni

Fisioterapista, classe 1959, ha scoperto la propria vocazione frequentando la parrocchia e nel 1983 è entrata nell’Istituto delle Piccole Apostole della Carità. Nel 2004 parte per il Sud Sudan (allora ancora regione del Sudan), un’area alle prese con una gravissima crisi umanitaria. A Juba mette a disposizione le sue competenze di fisioterapista: «Sono andata con la prospettiva di rimanere poche settimane, ci sono rimasta 14 anni». Rientrata in Italia nel 2018, ora è responsabile delle risorse umane di Ovci (Organismo di volontariato per la cooperazione internazionale legato alle Piccole Apostole della Carità) nella sede di Ponte Lambro (Co), «ma vado a Juba ogni anno per due mesi, è diventata la mia seconda casa».

La guerra civile

All’arrivo nel 2004, «il Sud Sudan era un Paese povero, ma dignitoso. Non c’era quasi nulla, a Juba le persone bianche erano solo una decina, principalmente noi di Ovci e il personale della Croce Rossa internazionale. Gestivamo un centro di riabilitazione, l’unico in tutta la nazione, un dispensario, una scuola materna Le persone vivevano in estrema povertà, ma non nella miseria». Dopo l’indipendenza ottenuta dal Sudan con un referendum nel 2011, la situazione precipita nel 2013. Lo scoppio di una guerra civile sconvolge il paese e Manuela Vittor assiste in prima persona alle violenze, alla povertà crescente, alla disperazione della gente. Si stima che almeno 400mila persone siano morte per gli effetti della guerra, che ha portato fame e carestie. I profughi sono stati quattro milioni. «Nell’ospedale statale «nei primi anni dal mio arrivo si facevano ancora le operazioni chirurgiche. Ora, se uno ne ha bisogno, o può permettersi di pagarla, o deve rinunciare».

I progetti a sostegno dei più poveri

Nelle difficoltà, la trevigliese dà vita a operazioni di microcredito per avviare attività, iniziative di sostegno ai più poveri, progetti di inclusione, promozione umana e sociale. In un Paese in cui, secondo dati Unicef del 2021, il tasso di analfabetismo femminile è il più elevato del mondo: ogni cento maschi, solo 75 femmine sono iscritte alla scuola elementare, e meno dell’1% la conclude. Vittor avvia anche un corso di laurea per fisioterapisti, allo scopo di formare giovani del posto e dare loro un futuro. «Tra le soddisfazioni più grandi, c’è tornare anno dopo anno a Juba e scoprire che gli studenti della scuola di fisioterapia hanno trovato lavoro, oppure stanno seguendo un master per migliorare le loro competenze, o ancora sono entrati nello staff della Croce rossa: di recente è successo a tre ragazzi». Risultati che si ottengono, conclude, «tenendo sempre davanti a sé lo spirito del nostro fondatore, don Monza. Diceva che «il bene deve essere fatto bene».

© RIPRODUZIONE RISERVATA