Volontariato / Bergamo Città
Giovedì 09 Maggio 2024
«Sono caregiver da 35 anni per stare vicino a mio figlio»
LA STORIA. Tino Manzoni si prende cura di Stefano, che soffre di un disturbo dello spettro autistico severo. «E mi sono inventato un lavoro in proprio».
«Sono diventato caregiver con la nascita di mio figlio Stefano, 35 anni fa. Abbiamo scoperto, non perfettamente consapevoli, che aveva delle fragilità». Essere caregiver significa prendersi cura di una persona cara, conciliando l’impegno che questo richiede con tutti gli altri impegni della vita. Tino Manzoni è caregiver da ormai 35 anni, lo è diventato nel momento esatto in cui è nato suo figlio Stefano.
La consapevolezza piena
Oggi ne è pienamente consapevole, 35 anni fa probabilmente non lo sapeva ancora. «Il percorso per arrivare ad una diagnosi e per capire cosa stesse succedendo è stato molto faticoso. Alla fine è arrivata la conclusione: Stefano ha un disturbo dello spettro autistico severo. Che in parole semplici significa una difficoltà per lui a essere dentro alla società, che di conseguenza diventa anche una nostra difficoltà come famiglia». Una diagnosi non semplice, che ha richiesto innanzitutto di venire compresa, accettata e poi affrontata con i giusti strumenti.
Le aspettative azzerata
«Abbiamo azzerato tutte le aspettative che un genitore può porre nella crescita del proprio figlio e abbiamo acquisito la consapevolezza che dovevamo accettare quello che stava accadendo. Indipendentemente dalle sue difficoltà, Stefano era prima di tutto nostro figlio». Tino e la sua famiglia hanno iniziato a fare tutto il possibile per aiutare Stefano e offrirgli le possibilità perché potesse vivere la sua vita al meglio. Questo per Tino ha comportato anche dover cambiare lavoro.
Avere una prospettiva
«Non volevo che lasciassimo nulla di intentato per aiutarlo a crescere, perché anche lui potesse avere una prospettiva di futuro. Così mi sono inventato un lavoro in proprio, che mi permettesse di continuare a sostenere economicamente la famiglia, che rispondesse alle nostre esigenze e soprattutto che mi permettesse di dedicare tutto il tempo necessario al nostro bene e a quello di Stefano in particolare». Nel frattempo Tino e sua moglie hanno girovagato per cercare dei centri che garantissero loro assistenza e competenza adeguata, senza però trovare nulla che andasse bene per Stefano.
Un grande aiuto per i genitori
«A Milano trovammo un grande aiuto per noi genitori, che ci ha permesso di affrontare il nostro ruolo di caregiver e di acquisire la capacità necessaria per portarlo avanti senza farci travolgere o senza condizionare le esperienze della nostra vita». Poi nel 2000 incontrarono proprio a Bergamo Spazio Autismo, l’associazione nata per promuovere l’inclusione delle persone con disturbo dello spettro autistico e per creare una rete capace di supportare, sensibilizzare e formare le famiglie, la scuola e il territorio.
Una parte integrante
Associazione che oggi continua a svolgere la propria funzione e di cui Tino è diventato presidente: «Siamo subito diventati parte integrante dell’associazione, perché credevamo fosse necessario l’impegno di tutti. E poi Spazio autismo è diventata la mia vita. Dopo essermi chiesto a lungo che significato avesse essere padre di un figlio con disabilità, sono arrivato alla conclusione che tutto questo ha un senso se io mi posso spendere per migliorare la vita di quelli che vengono dopo». Oggi a 35 anni Stefano è un uomo adulto, ha una sua vita e vive esperienze significative. Ma non per questo Tino smette di essere caregiver. «L’attività di caregiver oggi è ancora più impegnativo: da tempo dobbiamo pensare a quello che sarà il dopo di noi, che è già qui adesso in questo momento ed è fondamentale riuscire ad avere delle visioni».
La cura della comunità
E Tino una visione chiara ce l’ha già: «Vorrei tanto che non ci fosse la necessità di caregiver, perché vorrebbe dire che le persone starebbero tutte quante meglio. Ma questo è impossibile, anzi sappiamo che diventeremo sempre più bisognosi di aiuto da parte degli altri. È una cosa che ci riguarda tutti: credo che essere caregiver sia un’attitudine del genere umano, ma non basta. Deve diventare una consapevolezza, perché solo in questo modo avere cura di una persona in particolare può diventare avere cura di tutti quanti e della comunità in cui viviamo».
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