Profughi, sbarchi senza fine: la Caritas fa appello al governo

IL DOCUMENTO. «Stato di emergenza nazionale». Don Claudio Visconti di Bergamo: ignorato il nostro allarme. «Ora serve un sistema più rapido ed efficace»

Stato di emergenza nazionale e più permessi umanitari per i migranti. Sono le richieste che le Caritas della Lombardia fanno al governo, con un documento che ieri è stato approvato da tutti i direttori delle strutture diocesane regionali.

«Attualmente sono ospitate dalle Caritas lombarde centinaia di persone – recita l’appello -, sbarcate nei porti del Sud del nostro Paese, salvate dall’operazione Mare Nostrum e trasferite nella nostra Regione, ma, dal momento che i flussi sembrano essere inarrestabili, si sta provvedendo a trovare altre possibilità di alloggio». E ancora: «È urgente oggi uscire da una mancanza di programmazione attraverso un’analisi seria della situazione attuale a cui corrisponda un’azione adeguata da parte del governo senza la quale si rischia di lasciar spazio alla malavita organizzata».

I migranti arrivano sui barconi, vengono caricati sui voli militari che li portano nelle diverse regioni italiane e poi sono le prefetture che li destinano alle strutture dove saranno ospitati e dove faranno richiesta di asilo politico. Ma manca un’attività di programmazione, il fenomeno continua ad essere considerato un’emergenza e come tale viene affrontato: tutto all’ultimo minuto, o quasi.

L’allarme ignorato

«Da mesi sapevamo che con il bel tempo sarebbero arrivati migliaia di migranti sul territorio nazionale – afferma don Claudio Visconti, direttore della Caritas di Bergamo e delegato delle Caritas lombarde –, avevamo lanciato l’allarme già mesi fa ed era in quel momento che si sarebbe dovuta programmare la gestione degli arrivi»

La situazione a Bergamo

Tra città e provincia in questi giorni sono ospitati circa 200 richiedenti asilo, di questi oltre 150 stanno vivendo in strutture della Caritas: a Bergamo, Urgnano, San Paolo d’Argon, Casazza e Valbondione. «Ma continuano ad arrivare – spiega don Claudio – e noi lavoriamo sempre senza poter prevedere cosa succederà nelle prossime settimane. Lo stato di emergenza consentirebbe di alleggerire tutte le procedure burocratiche, rendendo più efficace e rapido il sistema dell’accoglienza».

Il permesso umanitario

Ma c’è un’altra richiesta che le Caritas lombarde fanno al governo: «Ci siano tempi certi per la definizione dello status giuridico delle persone che accogliamo, munendole nel frattempo di permesso umanitario, soprattutto per coloro che provengono da contesti di guerra, come nel caso dei siriani». Una richiesta, quella di concedere permessi umanitari, che acquista un significato particolare nel contesto bergamasco, dove i siriani fino ad ora sono pochi e la maggior parte dei migranti arrivati rischia di non ottenere l’asilo politico perché non viene da zone di guerra.

«Molti provengono da Paesi dell’Africa sub-sahariana – dice don Claudio –. Quasi tutti scappano da situazioni di degrado e miseria ma non da guerre o persecuzioni: è molto probabile che a loro un permesso di soggiorno per asilo politico non venga concesso». E allora dopo mesi di attesa, perché tanto ci vuole per avere una risposta alla richiesta di asilo, si torna daccapo: «In genere dopo che la richiesta di asilo è stata respinta fanno ricorso al Tar – spiega don Claudio –, così si perdono altri mesi, per poi ottenere un altro no».

Risultato finale: centinaia di persone letteralmente bloccate in attesa di un responso (quando si fa richiesta per avere lo status di rifugiato non si può né cambiare città né lavorare, solo aspettare), che sovraccaricano le strutture di accoglienza e che con buona probabilità si ritroveranno alla fine a ingrossare le file degli irregolari. «Meglio dare loro subito un permesso umanitario – conclude don Claudio –. Con quello possono cercare lavoro, andare in un altro Paese, fare progetti».

Nel 2011, dopo quella che venne definita «emergenza Nord Africa», si finì per concedere il permesso per motivi umanitari a centinaia di migranti: ma solo dopo averli tenuti bloccati per mesi (a volte un anno o più) in attesa della risposta per l’asilo politico. «Perché non darli subito allora – commenta don Claudio –, converrebbe a tutti».

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