«In carcere e fuori, così aiuto i detenuti a riprendere la strada»

LA STORIA. Ex infermiere al «Papa Giovanni», con la moglie collabora con la Casa circondariale e l’Ufficio esecuzione penale esterna.

Fausto ha 62 anni, è in pensione e fino a due anni fa faceva l’infermiere per l’Asst Papa Giovanni, prima in reparto e poi al Pronto soccorso con esperienze anche di elisoccorso e all’interno della centrale operativa. Vive a Villa di Serio con la moglie e un figlio, le altre figlie sono ormai sposate. Il volontariato ha sempre permeato la sua vita familiare: l’impegno da ragazzo in oratorio, proseguito poi insieme alla moglie anche in età adulta, e poi nell’accoglienza di minori in affidamento.

«Mi sono reso conto che è giusto che un detenuto paghi per quello che ha fatto, ma la vita detentiva non è così semplice. Togliere la libertà ad una persona è un gesto che ha un certo peso: lo abbiamo provato tutti durante il Covid, ed eravamo nelle nostre case... Non scuso i detenuti, ma vivono una realtà drammatica. Non è un concetto semplice da comprendere se non vivi il carcere dal suo interno»

«Una famiglia allargata»

«Siamo una famiglia allargata: abbiamo accolto cinque affidi di minori nel corso della nostra vita, il primo 29 anni fa, e alcuni di questi sono rimasti legati a noi ancora oggi». Nella sua vita professionale Fausto ha incontrato anche l’esperienza della detenzione: tramite la convenzione medico-infermieristica stipulata tra gli allora Ospedali Riuniti e la Casa Circondariale di Bergamo, nel 1994 è entrato nel Carcere come infermiere per un anno e mezzo. «È stata una delle esperienze lavorative che mi ha fatto maturare maggiormente, un’esperienza molto bella», racconta. «Mi sono reso conto che è giusto che un detenuto paghi per quello che ha fatto, ma la vita detentiva non è così semplice. Togliere la libertà ad una persona è un gesto che ha un certo peso: lo abbiamo provato tutti durante il Covid, ed eravamo nelle nostre case... Non scuso i detenuti, ma vivono una realtà drammatica. Non è un concetto semplice da comprendere se non vivi il carcere dal suo interno». Così, quando due anni fa è andato in pensione, è stato quasi naturale tornare ad impegnarsi in un ambito che lo aveva colpito molto ed è diventato volontario sui temi della giustizia.

Il gancio della moglie

A fare da gancio la moglie, che condivide con lui un’attenzione particolare al volontariato. «Da sette anni mia moglie era volontaria alla Mensa della stazione e in quel contesto aveva conosciuto l’opportunità di diventare volontaria anche all’interno della Casa Circondariale. Ha iniziato lei e poi mi sono avvicinato anche io: inizialmente ho dato la mia disponibilità, grazie all’Articolo 17 Legge 354/75 (Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa), per eseguire dei trasporti in accompagnamento dei detenuti. Poi mi è stato proposto di collaborare con l’Ufficio locale di esecuzione penale esterna (Ulepe) per affiancare le persone in misure alternative alla detenzione e aiutarle a reinserirsi nella società». La prima esperienza di affiancamento alle misure alternative Fausto l’ha vissuta proprio con sua moglie: l’Ufficio ha chiesto loro di affiancare una famiglia con due persone in esecuzione pensale esterna. Il loro compito era stare vicino a questa famiglia, cercando di capire se avessero avuto bisogno di qualcosa.

Affiancamenti

«Abbiamo proposto alla mamma di venire con noi alla mensa della stazione, anche accompagnandola nel tragitto. Li abbiamo aiutati anche nella gestione di alcune pratiche burocratiche e nel supporto ai bambini piccoli. Non ci hanno mai chiesto nulla, e ogni volta che andavamo da loro il papà ci ringraziava sempre con una cassetta di verdura del suo orto. Un’esperienza arricchente, con loro ci sentiamo con regolarità ancora oggi». A questa sono seguite altre tre esperienze di affiancamento, talvolta brevi in altri casi molto intense. Esperienze che funzionano bene quando le persone sottoposte al provvedimento comprendono che Fausto può essere per loro una risorsa e un aiuto.

«Il volontariato dovrebbe davvero essere di tutti, chi un po’ di più chi di meno e ciascuno per le cose che gli piacciono. Credo che ci sia tanta gente che fa del bene, ci sono tante forme di volontariato»

Volontariato per tutti

«Personalmente credo di non fare nulla di particolare, penso che siano cose che avrebbe fatto chiunque. Quando mi dicono “Hai fatto cinque affidi”, rispondo che fare un affido non è meno importante di fare il piedibus – conclude Fausto –. Pensate ad un papà che fa il piedibus e passa a prendere un bambino, lasciando a casa la mamma con l’altro figlio piccolo: che servizio gigante fa! O ancora conosco un signore che ogni sera va in casa di riposo a dare da mangiare agli anziani. Questi sono i santi di oggi. Il volontariato dovrebbe davvero essere di tutti, chi un po’ di più chi di meno e ciascuno per le cose che gli piacciono. Credo che ci sia tanta gente che fa del bene, ci sono tante forme di volontariato».

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