Volontariato / Bergamo Città
Domenica 20 Novembre 2016
Accoglienza è avere «Il mondo in casa». Storie di migranti: un libro per capire
L’INIZIATIVA. Presentata la pubblicazione della Caritas diocesana: è a disposizione di parrocchie, scuole e oratori. Sei capitoli e sei diversi autori. Il vescovo di Bergamo: la narrazione è importante perché forma la coscienza sociale. Don Claudio Visconti di Bergamo: «Tra muri e porte aperte».
L’esperienza dell’accoglienza dei migranti a Bergamo diventa narrazione. Le voci di chi, in maniera diversa, si è trovato in questi ultimi anni a vivere, a gestire, ad analizzare, a raccontare la realtà della migrazione, si accostano l’una all’altra nelle pagine di un libro che la Caritas diocesana bergamasca mette a disposizione delle parrocchie, delle scuole, degli oratori. Passato, presente e futuro sono i tempi in cui si declinano i racconti e le riflessioni. Tre i passaggi temporali che hanno visto, vedono oggi e vedranno ancora domani la nostra terra farsi casa per nuovi volti, per nuove storie. «Il mondo in casa» è il titolo del volume di un centinaio di pagine che fa luce su un’esperienza, quella dell’accoglienza, che muove il territorio, nel bene e nel male, su strade in discesa e ripide salite, tra paure e speranze, tra verità e bugie, tra muri e porte aperte. Sei i capitoli scritti da sei diverse voci, un’introduzione del vescovo Francesco Beschi e le conclusioni di don Claudio Visconti, direttore della Caritas diocesana. Ieri il libro è stato presentato nella sala parrocchiale di Santa Lucia in città, con la presenza del vescovo e di alcune delle persone che hanno contribuito a questo lavoro.
«È uno dei grandi temi della nostra epoca – ha detto Andrea Valesini, caporedattore de “L’Eco di Bergamo” – .La realizzazione di questo approfondimento ci permette di entrare nel vero dell’esperienza di Bergamo rispetto a quanto avviene nel mondo». Alla presentazione sono intervenute anche autorità cittadine, tra cui il viceprefetto Adriano Coretti. «La gestione della macchina organizzativa – ha detto – è complessa. A volte assistiamo ad approcci alla questione troppo semplicistici che portano a posizioni estreme contrapposte. Questo è un fenomeno strutturale con cui dovremo convivere». Maria Carla Marchesi, assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo, ha posto l’accento soprattutto sulla fase dell’accoglienza legata al futuro e che punta alle sfide dell’autonomia. «L’immigrazione sta cambiando la fisionomia delle nostre comunità – ha detto don Massimo Maffioletti, parroco di Longuelo e autore di uno dei capitoli –. Occorre leggerla non come sfida, ma come opportunità. L’immigrazione ci farà riguadagnare il ritorno al Vangelo attraverso una prossimità fraterna e inclusiva. La questione del dialogo multiculturale e multireligioso è oggi decisiva ma le nostre comunità sono ancora impreparate. Occorre che la carità esca dagli schemi dell’ “elemosina” per diventare stile di vita».
Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, ha anticipato nel suo intervento alcuni contenuti del capitolo da lui redatto e intitolato «Gli errori di percezione degli italiani», quasi a dire «un conto è quello che sembra, un conto è quello che è». Così, numeri e dati alla mano, Pagnoncelli scioglie alcuni nodi legati soprattutto alle preoccupazioni degli italiani. Il vescovo ha concluso l’incontro di presentazione evidenziando come «il tema della narrazione è molto importante perché forma la coscienza sociale e questo libro, nella modalità in cui è stato costruito e nei percorsi che apre, ha oggi un’incidenza formativa». Ha poi espresso i sentimenti di gratitudine verso tutti coloro che fanno parte di questa storia bergamasca.
Ospitalità è la parola che ha voluto consegnare alle comunità perché venga attuata nel suo significato più profondo, cioè quello che scioglie le distanze e i dislivelli e che permette di considerare l’altro non solo attraverso la misura del suo bisogno. L’immagine finale è stata quella simbolica e inaspettata della «pancia di Dio». «Davanti a questa realtà si parla spesso di reazioni di pancia – ha spiegato – .Immagino la pancia di Dio che è il suo moto di compassione con l’umanità, un misto di indignazione e tenerezza. La pancia di Dio non diventa allora una visceralità negativa, ma un grembo. Le comunità cristiane diventino grembo in cui accoglierci gli uni gli altri». Il libro nasce come parte del progetto multimediale «Storie in pausa» che mette a disposizione alcuni strumenti - un blog, la pagina Facebook e due brevi produzioni video - per un approccio al tema dinamico, interattivo ed efficace.
Nella grande narrazione dell’accoglienza dei migranti a Bergamo lo scenario è quello di moltissime storie umane, qualcuno arriva da lontano, qualcuno alza muri, qualcuno apre porte. «Volevo girare il mondo poi il mondo è arrivato qui». Lo ha detto Silvia Zerbini, operatrice della cooperativa Ruah, alla giornalista de «L’Eco di Bergamo» Elena Catalfamo che nel libro «Il mondo in casa» ha raccolto due storie, quella di Silvia, che fa parte dello staff che si occupa del coordinamento delle strutture di accoglienza sul territorio, e quella di Yousepha Ceesay, coetaneo di Silvia, originario di un piccolo paese del Gambia.
Le due storie diventano emblematiche perché incrociano due sguardi – quello di chi accoglie e di chi è accolto - che si guardano a vicenda e che si incontrano qui in terra bergamasca. Silvia racconta in poche pagine una storia tesa verso il futuro. Non si sofferma tanto su quanto è stato fatto e realizzato ma su quello a cui ogni azione apre, a quella tensione verso il domani. «L’integrazione, a mio avviso, è necessaria, è il futuro», dice. C’è poi la storia di Yousepha che nel 2011 è partito dal suo Paese ed è arrivato a Bergamo nell’ottobre del 2014. È diplomato come tecnico informatico e in tempi brevi ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Oggi lavora come assistente notturno in un centro e offre aiuto come interprete. «I primi mesi a Bergamo sono stati difficili – racconta – . I bergamaschi pensano che noi africani siamo tutti uguali e che siamo tutti analfabeti. Però i bergamaschi non sono tutti razzisti, quando ti conoscono poi sono gentili. Qui mi trovo bene».
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