
Cronaca / Valle Seriana
Mercoledì 13 Novembre 2024
Ventidue anni dopo la tragedia del masso di Colzate. «Non è cambiato nulla, quella strada continua ad essere pericolosa»
L’INTERVISTA. L’incontro con Loredana Ghilardi: per la prima volta la donna parla della tragedia in cui rimasero uccisi il marito e i due figli di 6 e 10 anni. «Arrivai sul posto per caso mezz’ora dopo, dagli sguardi della gente capii che sotto c’erano i miei cari. E da lì è cominciato il mio calvario».

«Quando ho saputo della frana dello scorso ottobre il primo pensiero è stato: “Speriamo non sia rimasto sotto nessuno”. È caduta a 50 metri dal “mio” masso. Sa, io lo chiamo “mio” e potrà capire il perché. E ora mi chiedo: ma in 22 anni che cosa è stato fatto? La gente che scende da Bondo e dai Piani di Rezzo deve ancora rischiare la vita? La morte dei miei due figli e di mio marito non è servita a nulla? Se penso che quello che è capitato a loro si possa ripetere, mi si accappona la pelle».
In soggiorno, dietro gli occhi di questa donna che si fanno improvvisamente tristi, ci sono le foto di Roberto Bonfanti e dei piccoli Fabio e Andrea di 10 e 6 anni, uccisi da un macigno staccatosi dal bosco sotto il santuario di San Patrizio a Colzate e piombato sulla Y10 con cui stavano salendo alla frazione di Piani di Rezzo. Era l’11 maggio del 2002 e da allora Loredana Ghilardi si trova a convivere con il ricordo della tragedia – un impasto micidiale di incuria e fatalità - che le ha cancellato la famiglia.
Premette che finora non ha mai rilasciato interviste, «perché questa cosa l’ho sempre sentita un po’ solo mia». Poi aggiunge: «Quando succedono queste cose ormai si dà la colpa al cambiamento climatico, e ci sta. Se piove molto oggi si rischiano disastri ambientali. Ma è comunque colpa dell’uomo, e non si fa mai niente. La natura non si snatura e il conto quel giorno l’ha presentato a me».
C’è più passata da quella strada?
«Non più di cinque volte. La prima nel giugno 2003 per andare a far visita alla camera ardente di una bimba di Bondo, Jessica, 6 anni, annegata in Spagna. Era la compagna di classe di mio figlio Andrea. Ho fatto una visita perché ai funerali non sono più riuscita ad andare. Passo per una donna forte, ma quello che hai nel cuore non lo vede nessuno».
«Quando succedono queste cose ormai si dà la colpa al cambiamento climatico, e ci sta. Se piove molto oggi si rischiano disastri ambientali. Ma è comunque colpa dell’uomo, e non si fa mai niente. La natura non si snatura e il conto quel giorno l’ha presentato a me»
E cosa ha provato a transitare in quel punto?
«Non guidavo io. All’andata ho chiuso gli occhi e per non vedere ho pure messo una mano tra la tempia e la guancia a mo’ di paravento. Al ritorno ho invece trovato il coraggio di fermarmi. C’erano dei fiori che un signore, che io non conosco, continua a mettere ancora oggi. Lo ringrazio molto, è la prova che qualcun altro, oltre a noi familiari, ancora pensa a Fabio, Andrea e Roberto».
Non aveva timore che potesse staccarsi qualche altro masso?
«Quella di ottobre non è la seconda frana che cade. Su quella strada negli anni sono continuati a cadere sassi e terra»
«In quel momento prevaleva il dolore. Io adoravo la casa ai Piani di Rezzo, ci passavamo tanto tempo e in quel periodo la usavamo come prima abitazione perché questa qui a Fiorano era in via di costruzione. Da quel giorno non ci sono più salita e recentemente l’abbiamo venduta. Ma, se l’avessi ancora, io non passerei da quella strada. Quella di ottobre non è la seconda frana che cade. Su quella strada negli anni sono continuati a cadere sassi e terra. Anche al di là di quello che mi è successo, io, per paura e perché possa emergere il problema, continuerei a scendere dalla mulattiera fino a che qualcuno non provveda a mettere definitivamente in sicurezza la zona. Il versante interessato è lo stesso e ha sempre dato problemi. Speravo che col tempo qualcosa si sistemasse, invece dopo 22 anni è ancora tutto così. È inutile che mi dicano che quando piove purtroppo ci sono rischi. Non ci sono i soldi? Li devono trovare, come fanno per altre cose meno importanti. Detto questo, non voglio polemizzare né puntare il dito contro nessuno».
Non bisogna dimenticare le esigenze quotidiane degli abitanti.
«La vita frenetica ti porta a dire: io scendo perché devo andare al lavoro, portare i bimbi a scuola, fare la spesa. Sono esigenze che purtroppo costringono a sottovalutare i rischi. E così si passa sperando sempre che non succeda nulla. Ti va bene una, dieci, cento, mille volte. Ma se poi una volta va male? Quando succede è sempre troppo tardi. Bisognerebbe sapere cosa si prova quando accadono certe cose».
È riuscita a farsi una ragione di ciò che le è successo?
«Ho imparato a convivere con un dolore che non auguro a nessuno»
«In passato mi chiedevo: perché a me? Oggi la domanda è: perché non a me? E cioè, mi dico: fortuna che è successo solo a me, fortuna che il “mio” masso non ha centrato lo scuolabus, altrimenti ora nella mia condizione ci sarebbero 8-9 famiglie. È difficile porsi una domanda del genere, ma le assicuro che non è un modo per consolarsi. Ho imparato a convivere con un dolore che non auguro a nessuno. In fondo, i miei figli sono qua», dice allargando il braccio per indicare la casa.
«Sarebbe stato meglio che morissi anch’io»: è mai stata sfiorata da un pensiero simile?
«All’inizio, egoisticamente, sì, perché è più difficile sopravvivere a queste tragedie che morire. E, vedendomi soffrire, anche mio fratello mi ha confidato che pure lui era arrivato a pensarlo. Però c’è stato un gran lavoro da parte della mia famiglia e delle mie amiche. Mi hanno più volte prospettato: pensa se fossi morta pure tu, che dolore per i tuoi genitori che hanno già perso i nipotini e il genero?».
Oggi si sente una donna diversa da allora?
«Sì, e devo ringraziare la mia famiglia che mi ha sopportato e supportato nei momenti difficili e le amiche che hanno fatto di tutto per me, qualcuna trascurando anche la propria vita familiare. Nel periodo successivo alla tragedia non volevo fare nulla, nemmeno lavorare perché anche solo mettendomi a compilare un modulo mi sembrava di fare un torto ai miei figli e a mio marito. Ora invece sono più serena perché la vita mi ha riservato ancora cose belle, e la prima è mio figlio Luca, che oggi ha 20 anni ed è pilota professionista di motocross».
Come è cominciata la sua nuova vita?
«Nel 2003 ho conosciuto quello che attualmente è il mio secondo marito, pure lui di nome Roberto. Mi ha aiutato tanto. Quando è stato il momento di metterci insieme, io mi sentivo in colpa, credevo di tradire mio marito e i miei figli. Una sera ho pianto davanti a mia madre, ero combattuta, anche perché non volevo che il paese pensasse che mi fossi consolata così alla svelta. Lei mi ha detto che io non avevo colpa di quanto successo e che dovevo continuare a vivere. Quella notte ho fatto anche un sogno».
Racconti.
«Ho sognato mio marito, era la prima volta che capitava. Camminavamo insieme in un bosco. Io gli dicevo: “Perché mi hai fatto uno scherzo del genere? Perché mi ha detto che sei morto se ora sei qui accanto a me?”. Lui non ha mai parlato. Poi siamo arrivati a un bivio: io sono andata da una parte, lui dall’altra. Lo chiamavo, ma lui non mi ha mai risposto».
Che interpretazione gli ha dato?
«Pensavo che fosse un messaggio per dirmi che iniziare una nuova relazione sentimentale fosse un errore. Sono andata a dirlo anche a don Luigi, all’epoca parroco di Semonte: “Vedi che non sto facendo la cosa giusta?”. Lui mi ha risposto che se nel sogno Roberto aveva preso un’altra direzione era perché le cose dovevano andare così. Alla fine credo che fosse il modo da parte di Roberto di farmi capire che la vita continuava ».
«Ho sognato mio marito, era la prima volta che capitava. Camminavamo insieme in un bosco. Poi siamo arrivati a un bivio: io sono andata da una parte, lui dall’altra. Lo chiamavo, ma lui non mi ha mai risposto»
Poi nel 2004 è arrivato Luca.
«È la gioia della mia vita, con la sua nascita ho trovato lo scopo per andare avanti, anche se non ha sostituito Fabio e Andrea. Mi ha distolto dai miei pensieri perché mi ha costretto a occuparmi di lui. Pensi che quando è andato alla scuola materna avevo paura di affondare nel vuoto. “Che faccio fino alle 16, quando Luca è all’asilo?”, mi chiedevo. Allora ho ripreso a lavorare».
Quell’11 maggio 2002 se lo ricorda ancora nei dettagli?
«Eravamo dai miei suoceri a Semonte di Vertova, dove avevamo cominciato a portare degli scatoloni in vista del trasloco a settembre qui, in questa abitazione di Fiorano. Per questo motivo avevamo usato due auto. Fabio e Andrea erano felici, giocavano a pallone in cortile. Poco dopo le 18 è venuto il momento di salutare i nonni. Volevamo andare a mangiare una pizza, ma ci abbiamo ripensato. Ho detto a Roberto: “Porta su i bimbi e comincia a fargli fare la doccia”. Io invece sono andata a Gazzaniga dal fiorista perché il giorno dopo era la Festa della Mamma. Di solito facevamo salire un figlio su un’auto e uno sull’altra, così non viaggiavamo soli. Ma c’era la doccia da fare e allora Fabio e Andrea sono andati con mio marito».
Lei sul luogo della tragedia ci è arrivata quasi subito e per caso, vero?
«Alla sera mi sono accorta che ero piena di lividi sulle braccia e l’ho ricollegato a quanto era accaduto subito dopo la tragedia: io volevo andare a vedere mio marito e i miei figli nell’auto e la gente che era lì mi tratteneva con forza per risparmiarmi una scena terribile»
«Sono giunta mezz’oretta dopo, c’erano già i vigili del fuoco e l’elicottero. Al momento non ho capito e mi son chiesta: “Chissà cosa sarà successo?”. Poi mi si è fatto incontro un amico di mio marito. “Ciao Lory, come va?”, mi ha detto. “Cosa è successo?”, gli ho chiesto. “Niente, è scesa una frana. Dove hai i bambini?”. Lui aveva capito che sotto quel masso c’era la nostra macchina e sperava che Andrea e Fabio fossero con me. Vedevo che continuava ad allungare il collo verso la mia auto per capire se c’era dentro qualcuno. “Sono con Roberto”, gli ho risposto. A quel punto è diventato bianco. “Non dirmi che è Roberto là sotto la frana?!”, l’ho implorato e ho cominciato a chiamare mio marito al telefono. Ma dava irraggiungibile. “Dimmi chi sono?”, ho cominciato a urlargli. “E’ Roberto, ma stai qui”, mi ha detto lui. Ma l’avevo già capito da sola, perché mi ero accorta che tutti mi guardavano in modo strano. E da lì è cominciato il mio calvario. Alla sera mi sono accorta che ero piena di lividi sulle braccia e l’ho ricollegato a quanto era accaduto subito dopo la tragedia: io volevo andare a vedere mio marito e i miei figli nell’auto e la gente che era lì mi tratteneva con forza per risparmiarmi una scena terribile».
Gli ultimi istanti in cui ha visto Fabio, Andrea e Roberto se li ricorda?
«Quando siamo usciti dall’abitazione dei miei suoceri Roberto mi ha detto: “Ci vediamo a casa”. Siamo saliti sulle nostre macchine, io ho girato a destra, loro a sinistra e da quel momento non li ho più rivisti». È il bivio che poi sarebbe comparso in sogno a Loredana.
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