Nonna Mariarosa ce l’ha fatta
A 98 anni «ciao ciao Covid»

Mariarosa Cavalli, 98 anni di Alzano Lombardo, racconta così la sua lotta, durata quasi due mesi, al coronavirus.

«In ospedale è stata parecchio dura e ho avuto paura, ma ora mi sento meglio e a poco a poco mi sto riprendendo». Mariarosa Cavalli, 98 anni di Alzano Lombardo, racconta così, la sua lotta, durata quasi due mesi, al coronavirus. «Tutto è iniziato all’ospedale di Alzano Lombardo – racconta Mariagrazia, la figlia di Mariarosa, che nelle settimane in cui la madre si è curata a casa è rimasta sempre al suo fianco – dove mia madre è stata ricoverata il 14 febbraio per un principio di infarto. Nei giorni a seguire, tutti noi, figli, nipoti, amici e parenti, a turno, siamo stati con lei nella speranza che potesse riprendersi il prima possibile, e così è stato. Il 22 febbraio ci comunicano che sarebbe stata dimessa il martedì seguente, ma poi, purtroppo è arrivata l’emergenza coronavirus e il 23 febbraio il reparto di medicina generale dell’ospedale viene chiuso, sigillato. E con il reparto, all’interno, anche tutte le persone ricoverate, compresa mia madre. In ospedale è stata dura, per lei, ma anche per noi, perché da un giorno all’altro ci siamo ritrovati senza poterci vedere ed è subentrata la paura. La notte di lunedì, poi, a mia madre si è alzata la febbre e le hanno fatto il tampone per il Covid-19 a cui è risultata positiva».

Il 5 marzo il rientro a casa. «Fortunatamente – continua la figlia – mia madre non stava troppo male, quantomeno riusciva a respirare autonomamente, e i medici hanno deciso di mandarla a casa in modo che potessimo prendercene cura noi. Da quel giorno io e mio fratello, medico in pensione, siamo rimasti al suo fianco, perché altrimenti, vivendo lei sola, sarebbe rimasta intere settimane senza aiuto. Aiuto di cui aveva sicuramente bisogno. Così ho preso l’aspettativa al lavoro e sono rimasta isolata con lei, per assisterla. Inoltre tutti noi, figli nipoti, nuore, e le rispettive famiglie, ci siamo messi in isolamento volontario domiciliare. Nessuno ci ha chiesto di farlo, ma il nostro buon senso non può permettere che persone meno fortunate di noi, o più deboli, possano finire in pericolo. Quello che ci chiediamo però è perché nessuno ci abbia invitato a farlo. Anche perché noi ci abbiamo pensato, ma tanti altri che avevano frequentato l’ospedale come noi i giorni prima dell’emergenza magari hanno continuato la loro vita, portando il virus per le strade».

Inizia così un lungo periodo di cure a casa e di attesa. «L’Ats – spiega Mariagrazia – ci chiamava una volta al giorno per sapere la nostra temperatura e basta. Per il tampone, invece, non ci hanno più contattato fino a poco prima di Pasqua. I due tamponi a mia madre sono stati effettuati il 15 e il 17 aprile e l’esito negativo di entrambi ci è stato comunicato pochi giorni fa. Mentre per noi parenti, nulla. Solo io sono stata chiamata mercoledì scorso per il test, che ho fatto giovedì poi, ma del quale sto ancora aspettando i risultati». Ora la signora Mariarosa, per tutti «nonna Carolina», sta bene, come detto. «Mi è rimasto solo qualche colpo di tosse – conclude felice la novantottenne – e mi sto riprendendo piano piano. Ma posso dire di avercela fatta, ho sconfitto il virus».

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