Cronaca / Valle Seriana
Domenica 13 Febbraio 2022
«Mio figlio per nove mesi in ospedale, ha sconfitto la malattia per rinascere»
La storia di Mario Maffeis: colpito dalla leucemia a 4 anni, grazie alle cure dei medici del «Papa Giovanni» è riuscito a superarla.
Uno su centomila ce la fa: la leucemia linfoblastica acuta di tipo «T» che ha colpito Mario Maffeis di Vertova quando aveva solo quattro anni, era particolarmente aggressiva, ed è stata scoperta a uno stadio molto avanzato. Lui però - grazie alle cure dei medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII - è riuscito a superarla, in barba alle statistiche. Così piccolo mostra già la tempra di un guerriero, sfogliando le foto scattate in corsia lo troviamo perfettamente a suo agio sulle spalle degli Avengers, i suoi supereroi preferiti. Ora ha 7 anni, «è in remissione» - come dice, prudente, la mamma Alessandra Gusmini -, e corre veloce nel parco dell’ex convento del suo paese. Si siede accanto a noi e sorride timido. Come i crochi dopo un inverno buio si riaffacciano nel prato annunciando la primavera, anche lui, dopo aver attraversato la lunga notte di una malattia gravissima, «ora si gode la sua rinascita», come dice sorridendo la mamma.
Mario frequenta la seconda classe della scuola primaria e «per la prima volta, a gennaio - spiega il papà Marco - nei risultati degli esami del sangue non c’è nessun asterisco».
Nell’estate del 2019 Mario aveva una tosse anomala, insistente, che si trascinava già da qualche mese: «Abbiamo consultato diversi specialisti - sottolinea Alessandra - la diagnosi era sempre la stessa, asma. Le terapie, però, non davano risultati, perciò eravamo molto preoccupati. Nel frattempo le sue condizioni peggioravano. Era pallido, perdeva peso, si stancava subito e dormiva moltissimo, sia a casa sia all’asilo. Così gli abbiamo prenotato una radiografia al torace. Per combinazione nell’ambulatorio a cui ci siamo rivolti quel giorno era di turno un radiologo in servizio anche all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Pochi minuti dopo l’esecuzione della lastra ci ha convocati per un colloquio e ci ha suggerito di rivolgerci subito al Pronto soccorso. Ci ha anche detto che avrebbe preannunciato lui stesso il nostro arrivo. Abbiamo intuito che doveva trattarsi di qualcosa di grave. Abbiamo preparato una borsa con ciò che occorreva per l’ospedale e siamo partiti».
Quando sono arrivati al Pronto soccorso hanno trovato ad attenderli un’intera équipe di medici: «Si è aperta la porta, ci hanno chiesto “Maffeis?” Davanti a noi c’erano otto medici della terapia intensiva e dell’oncologia pediatrica. Abbiamo saputo poi che alcuni di loro erano reperibili ed erano stati richiamati apposta per occuparsi di nostro figlio. Siamo rimasti colpiti e spaventati da quella mobilitazione. Hanno preso in consegna Mario per una serie di visite ed esami: la prima con il cardiologo perché dalla lastra risultava la presenza di una massa che opprimeva i polmoni e poteva compromettere la funzionalità del cuore, quindi il bambino rischiava un collasso. Poi ci sono stati la tac e gli esami del sangue. Poco dopo ci siamo incontrati e ci hanno comunicato la diagnosi di leucemia linfoblastica acuta con interessamento del mediastino e del timo, manifestando una forte preoccupazione. Ci hanno detto che dovevano subito somministrare a Mario un primo ciclo di cure. Data la gravità della situazione, non si sentivano di farci promesse: non erano certi che potesse sopravvivere per un’altra settimana. Hanno chiarito che i bambini che entrano in terapia intensiva in quelle condizioni e riescono ad uscirne sono davvero pochi».
Nonostante fosse il 31 luglio, in piena estate, Alessandra e Marco si sono sentiti avvolgere da una corrente gelida, che ha spazzato via in un attimo «la vita di prima»: «L’unica cosa che potevo fare - racconta Alessandra - era dare valore al tempo che restava. I giorni passavano, dormivo su una sdraio, Marco stava con noi per tutto il giorno. Stavo seduta accanto Mario. Lui era incosciente, lo avevano sedato perché il suo corpo doveva investire ogni energia disponibile nella lotta contro la malattia. Dopo cinque giorni, però, stava meglio, lo hanno risvegliato e ci siamo trasferiti in sub-intensiva».
Aggrappati alla speranza
Il soggiorno in ospedale è durato quasi nove mesi: «Per me - continua Alessandra - è stata come una seconda gravidanza, e per Mario è stata a tutti gli effetti una rinascita. All’inizio eravamo paralizzati dal terrore, ma ci siamo aggrappati alla speranza di essere arrivati comunque in tempo. È stato difficile ma da quel momento abbiamo scelto di fidarci dei medici, delle terapie e della capacità di nostro figlio di combattere».
Come una deflagrazione, la malattia di Mario ha mandato in pezzi tutti i loro piani: Alessandra si occupava di riflessologia plantare, corporea e manualità osteopatiche. È uscita dal suo studio, in paese, il sabato pomeriggio precedente la radiografia e non è più rientrata. «Quando Mario si è svegliato mi ha detto di avere sentito che ero sempre rimasta vicino a lui, e mi ha chiesto se a quel punto sarei tornata a lavorare, ma il mio posto era lì accanto a lui, non c’era nient’altro di più importante».
Lei e Marco avrebbero dovuto sposarsi il 24 agosto successivo, ma data la situazione hanno annullato tutto. «Ci siamo detti - sorride Alessandra - che a volte la vita ti porta cambiamenti inaspettati e bisogna affrontarli».
Ci ha pensato l’Associazione Amici della pediatria a portare un po’ di coraggio e buonumore in quella situazione così difficile: «Abbiamo trovato i volontari ad aspettarci quando siamo arrivati in terapia subintensiva. Ci hanno offerto un dono di benvenuto che ha portato luce nello sguardo di Mario. Erano sempre presenti e grazie alle loro proposte siamo riusciti a divertirci moltissimo anche in una situazione così grave, in cui eravamo oppressi continuamente dalle preoccupazioni. Abbiamo sperimentato tante attività diverse, dai laboratori con la pasta di sale alla pittura».
Grazie agli Amici della pediatria, Mario ha scoperto la musica: «Nella sala dedicata ai giochi c’erano strumenti a misura di bambino fatti per avvicinarsi alla musica come terapia. Mio figlio si è appassionato alla chitarra e una volta uscito dall’ospedale ha iniziato a prendere lezioni per imparare a suonarla. Queste attività ci hanno offerto molta energia positiva. C’erano giorni in cui il bambino non stava bene, ma i volontari riuscivano a raggiungerci comunque con un messaggio, un piccolo dono, una proposta studiata su misura per lui, in base ai suoi gusti e alle sue preferenza. Mi sono sempre chiesta come facessero a essere così solleciti e vicini a tutti i bambini ricoverati in ospedale, prendendosi cura allo stesso tempo anche dei genitori. Milena Lazzaroni, responsabile dell’associazione, è stata una presenza costante e rassicurante, ci ha aiutato moltissimo nel periodo di ricovero, segnato anche da diverse complicazioni. Sono particolarmente grata al personale ospedaliero e alla pedagogista Delia Borelli».
Mario ha affrontato una serie di cicli di chemioterapia: «Nei primi sei mesi - osserva Alessandra - ci sono stati alcuni incidenti di percorso, anche se la progressione della malattia si era fermata, e li abbiamo superati. Siamo rimasti in ospedale finché non si sono concluse le terapie ad alto dosaggio, poi è stato possibile trascorrere qualche giorno a casa: prima due, poi tre, poi quattro, finché hanno dimesso Mario, che ha continuato ad assumere i farmaci a casa, recandosi in ospedale solo una volta alla settimana». Le dimissioni sono avvenute in coincidenza con l’inizio della prima ondata della pandemia: «Il bambino era immunodepresso - dice Marco -, perciò tutta la famiglia si è adeguata subito alle misure di igiene e sicurezza necessarie, compresi guanti e mascherine. Al momento di tornare a casa abbiamo adottato un cucciolo di cocker spaniel, Pepe, che è diventato un compagno inseparabile. Lui doveva adattarsi alla vita in famiglia, Mario alla sua nuova condizione fuori dall’ospedale, così si sono aiutati a vicenda, e hanno stabilito un forte legame. Pochi mesi dopo abbiamo adottato anche un’altra cucciola di cocker, Milady. Quando ci siamo ritrovati chiusi in casa per il primo lockdown il nostro pensiero è andato alle famiglie del nostro reparto, che hanno dovuto affrontare un periodo difficilissimo, segnato dalla solitudine e da nuove inquietudini». Anche in questo caso un aiuto prezioso è arrivato dagli Amici della pediatria: «Da quando è iniziata la pandemia hanno attivato collegamenti online con attività di gioco e di animazione a distanza - racconta Alessandra - e questo ci ha sollevato e aiutato a mantenere vivi i legami».
Gruppo Amici di Vertova
Mario, Alessandra e Marco hanno potuto contare anche sull’attenzione e la solidarietà del paese: «Ci ha offerto moltissimo supporto - commenta Marco - il Gruppo Amici di Vertova che da tanti anni affianca la “Paolo Belli” nella lotta alla leucemia».
Mario l’anno scorso ha frequentato regolarmente la prima classe della scuola primaria, e nel luglio del 2021 ha terminato le terapie farmacologiche: «I medici ci hanno detto che un esito così buono è molto raro - conclude Alessandra -, capita a un bambino ogni centomila. Noi ci sentiamo miracolati e infinitamente grati. Questa esperienza nonostante tutta la fatica che abbiamo vissuto ci ha portato anche molte opportunità di crescita. Mario ha conosciuto tanti altri bambini con molte patologie diverse, spesso serie quanto la sua, si è impegnato per sostenerli con la sua amicizia e così ha aiutato anche se stesso. Purtroppo alcuni non ce l’hanno fatta, la vita in reparto era dura e segnata da tanta sofferenza. Nostro figlio è cresciuto molto, ciò che gli è successo lo ha cambiato, lo ha reso più maturo nonostante la giovane età. Affronta ogni cosa, scuola compresa, con uno spirito diverso. Anche per me il cambiamento è stato grande: prima misuravo il futuro in mesi e anni, dal momento della diagnosi ho iniziato ad apprezzare ogni minuto, ho imparato a dare valore a ogni momento vissuto insieme».
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