Mancata zona rossa, avanti con l’inchiesta
Il giallo della bozza rivista dal ministero

Dalla circolare sulle linee guida per riconoscere il Covid esclusa quella sulle polmoniti non identificate. Inquirenti alla centrale Areu: acquisite le schede degli interventi per capire il motivo di ritardi denunciati da alcuni.

Qui alla centrale operativa Areu di Bergamo era un inferno, soprattutto a marzo, quando arrivavano 241 chiamate di soccorso al giorno solo per il virus, un numero dieci volte maggiore alla media degli scorsi anni. C’è gente che ha aspettato l’ambulanza per ore; equipaggi venuti da fuori provincia che chiedevano ai parenti del paziente indicazioni sull’ospedale più vicino; ci fu la fila di autolettighe fuori dal pronto soccorso dell’ospedale Papa Giovanni, con i sanitari che, in attesa del via libera all’accesso, erano costretti a curare gli infettati sul mezzo. Alla centrale si lavorò duro, senza risparmiarsi e pagando un prezzo salato al contagio: Diego Bianco, uno degli operatori, morto di Covid il 13 marzo, è diventato il simbolo di questo sacrificio.

Per tale motivo, gli inquirenti che indagano per epidemia colposa, in questo posto sono entrati in punta di piedi, consci di ciò che ha significato lavorare qui in piena emergenza. Si sono presentati nelle scorse settimane per acquisire le schede degli interventi e altra documentazione utile a chiarire se i ritardi denunciati da alcuni cittadini che hanno perso i propri cari erano inevitabili oppure se si poteva dare una risposta più efficace alle esigenze che arrivavano in quel momento dal territorio. E se questi ritardi hanno contribuito a determinare il decesso di qualche paziente.

L’Areu ha creato rinforzi

La premessa degli investigatori è che si agiva nell’ambito di una situazione eccezionale, mai vista fino ad allora. E che l’Areu non è rimasta con le mani in mano, creando in pochi giorni strutture e meccanismi di rinforzo per far fronte all’aumento vertiginoso dei casi. Intanto, dalle 30 ambulanze a disposizione quotidianamente nella Bergamasca nel periodo pre-Covid si è passati a 83, con equipaggi arrivati da tutta Italia grazie alle reti di volontariato di Croce Rossa Italiana, Anpas e Misericordie. Inoltre, è stata creata una sala regionale dove dirottare le chiamate dei pazienti meno gravi, al fine di non intasare la centrale di Bergamo. La lugubre cantilena delle sirene delle ambulanze è stata la triste colonna sonora di quei giorni in città e in molti paesi della provincia. Un suono che pareva ininterrotto, e fa venire i brividi pensare a quale mole di presunti contagi abbia creato il virus, sapendo che solo un quinto dei pazienti con sospetti sintomi Covid ha avuto bisogno dell’intervento di un mezzo di soccorso.

I ritardi denunciati nei loro esposti da alcuni cittadini, costretti ad aspettare l’ambulanza anche per quattro ore, sono finiti nel fascicolo dell’inchiesta ed ora il procuratore facente funzione Maria Cristina Rota e i tre sostituti del pool stanno cercando di fare chiarezza anche su questi aspetti. È l’organizzazione del servizio che sarà scandagliata per prima dagli inquirenti. Era l’unico modo per affrontare l’emergenza? Si poteva fare di più e meglio? Come? Le risorse erano state messe a disposizione? E poi, c’è stata qualche altra ragione nei ritardi di qualche intervento che non fosse il numero abnorme di richieste? Sono le domande che si stanno ponendo in Procura e che verranno quasi inevitabilmente girate al gruppo di consulenti chiamati dagli inquirenti a esaminare anche tutti i passaggi nella catena del soccorso.

La bozza rivista dal ministero

Quanto al filone sull’ospedale di Alzano, i pm puntano l’attenzione anche sulle linee guida e sui protocolli del ministero della Salute. Quali erano i criteri per identificare i possibili casi Covid a febbraio, visto che al Pesenti Fenaroli erano stati ricoverati pazienti con polmonite già prima del 23, il giorno in cui l’epidemia divenne ufficiale anche in Bergamasca? Si cercavano i cinesi o i contatti con questi ultimi: detto brutalmente, è ciò che invitavano a fare le direttive del governo alla vigilia dell’epidemia. Ma erano già superate, perché il virus viaggiava già ampiamente tra i bergamaschi, soprattutto a Nembro, sede del focolaio più letale. E c’è un piccolo mistero che qualcuno tra i testimoni sentiti dai pm ha rivelato come voce: la circolare del 27 gennaio che dettava le linee guida per il riconoscimento dei possibili casi Covid-19 avrebbe presentato un criterio in meno rispetto alla bozza. Pare che, è quanto avrebbe affermato qualcuno tra le persone informate dei fatti, all’ultimo momento sia sparito dal documento ufficiale il parametro che avrebbe consentito di individuare il virus con quasi un mese di anticipo. E cioè, quello di trattare come sospetti casi Covid tutte le polmoniti di natura non identificata. Se i primi tamponi positivi fossero arrivati a fine gennaio e non tre settimane dopo, si sarebbero potuti evitare molti più contagi? La domanda, per ora, resta aperta.

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