Malga Lunga, le radici dell’Italia libera e in pace

LA RESISTENZA. Nel novembre di 80 anni fa otto giovani partigiani furono uccisi dai fascisti della Tagliamento.

«Andate nelle montagne dove caddero i partigiani, perché lì è nata la nostra Costituzione» era l’invito che Piero Calamandrei rivolgeva ai giovani negli Anni ‘50.

Già allora, quando i segni della distruzione lasciati dalla Seconda guerra mondiale erano ancora sotto gli occhi di tutti, secondo il costituente fiorentino era necessario conoscere le battaglie combattute da chi voleva una patria libera e in pace, gli ideali in cui credevano Giorgio Paglia, Guido Galimberti, Andrea Caslini, Mario Zeduri, Alexander Noghin, Ilarion Efanov, Simone Kopcenko, e Donez: gli otto partigiani che il 17 novembre del 1944 affrontarono i fascisti della Legione Tagliamento alla Malga Lunga, sui monti a cavallo tra Sovere e Gandino, e persero la vita. Zeduri e Donez vennero uccisi sul posto, a pugnalate, gli altri sei furono catturati e fucilati quattro giorni dopo, il 21 novembre, al cimitero di Volpino.

Malga Lunga: simbolo della Resistenza Bergamasca

Alla Malga Lunga, diventato simbolo della Resistenza bergamasca, domenica mattina l’Anpi organizzerà una cerimonia per ricordare gli 80 anni di quella tragedia a cui Angelo Bendotti, presidente dell’Isrec - l’Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, di Bergamo -, ha dedicato tre capitoli del suo ultimo libro intitolato «Stasera mi fucileranno» centrato sulla figura di Giorgio Paglia. L’opera consente di mettere a fuoco gli aspetti che di quella vicenda sono rimasti fino ad oggi poco chiari.

La storia del rastrellamento della Malga Lunga

Quel giorno - il 17 novembre del ’44 -, era un venerdì, Giorgio Paglia si trovava alla Malga Lunga insieme agli altri sette compagni già citati più altri sette che, al mattino, si erano allontanati per svolgere diversi incarichi. Attorno alle 13, una trentina di fascisti della Tagliamento partiti da Endine Gaiano circondarono la malga e aprirono il fuoco. Poco distante, in località Campo d’Avene, dove aveva sede il comando, il resto della 53esima brigata Garibaldi preferì non intervenire; soltanto la sera, proverà a liberare Paglia e la sua squadra, ma inutilmente. Sul terreno restano il giovanissimo Mario Zeduri, studente del Sarpi di Bergamo, e Donez, uno dei sovietici scappati dal campo di prigionia della Grumellina in città.

Il gesto eroico di Giorgio Paglia

Paglia e gli altri cinque vengono invece portati a Costa Volpino, processati e condannati a morte per fucilazione nonostante da Bergamo il comandante nazista Fritz Langer avesse chiesto di prendere in consegna i prigionieri. Nel tardo pomeriggio del 21 novembre alle 18, probabilmente con le luci di qualche camion accese, i sei partigiani vennero portati al muro del cimitero di Volpino. Qualche ora prima a Giorgio Paglia, fu offerta la grazia per i meriti del padre Guido, fascista, podestà di Alzano Lombardo, medaglia d’argento della Prima guerra mondiale e decorato con la medaglia d’oro al valor militare dopo essere morto nel 1935 durante la guerra coloniale in Etiopia. Giorgio chiese che fossero graziati anche i cinque amici prigionieri con lui, di fronte al no della Tagliamento chiese di essere fucilato per primo. Morì gridando «Viva l’Italia».

«La cattura di Giorgio Paglia e della sua squadra – ricorda Elisabetta Ruffini, direttrice dell’Isrec – avviene in un momento particolare: l’autunno del 1944 è segnato dall’arrivo nell’Alto Sebino della famigerata Legione Tagliamento, quella che dopo l’8 settembre ha giurato fedeltà alla Germania e a Hitler e che dai nazisti è stata addestrata alla controguerriglia. I militi arrivano a ottobre e si sistemano tra Costa Volpino e Pisogne, facendo subito capire a tutti che a loro di mantenere buoni rapporti con la popolazione locale non interessa nulla: l’8 novembre incendiano Corti. Poi, aiutati da spie e traditori, il 17 attaccano la Malga Lunga e il 21 a Covale, tra Songavazzo e Bossico, catturano i due fratelli Pellegrini, Renato e Floriano, e li fucilano il giorno successivo.

Mentre la Tagliamento fa terra bruciata, la 53esima Brigata Garibaldi deve prepararsi all’inverno dopo aver ascoltato il «Proclama Alexander» che interrompeva le operazioni militari alleate e sospendeva gli aiuti alla Resistenza. Se l’estate 1944 era culminata con la vittoria di Fonteno e con una brigata arrivata a contare 230 partigiani, l’inverno del 1944 è quello del nascondimento: Giovanni Brasi, il comandante Montagna, si rifugia per qualche tempo in Svizzera, a Valbondione si ritrovano in meno di venti. All’appello mancano gli otto della Malga Lunga».

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