Lizzola, il tunnel degli sci ultimo treno per il rilancio

VALBONDIONE. In paese tutti d’accordo: il collegamento con Colere decisivo per il turismo invernale. «Posti di lavoro per i giovani o qui si muore».

Il brutalismo montano dei geometri e l’ingordigia dell’immobiliarismo low-cost hanno lasciato graffi pure quassù, anche se meno profondi rispetto ad altre stazioni sciistiche della Bergamasca, letteralmente devastate dai residence-alveari. Resistono le case in pietra, con il fumo dei camini sui tetti di ardesia che va a impastarsi con le nubi basse di questa domenica 2 giugno trascorsa a 12°. Cade acqua anche oggi, ma Valbondione e la sua frazione Lizzola assaporano una metaforica primavera, dopo che le piogge e il freddo quest’anno si sono incaricati di cancellare dal calendario quella vera.

È tornato infatti in circolo - stavolta in modo decisamente più concreto - il progetto del comprensorio sciistico con Colere, di cui da queste parti si vocifera da una trentina d’anni ma che è sempre rimasto sul pianeta delle pie intenzioni causa mancanza di fondi. Un disegno che rispolvera la cosmetica della vacanza sugli sci e riaccende speranze di rilancio turistico in grado di creare occupazione in una zona geograficamente ai margini, dove c’è ancora gente che per lavorare parte il lunedì mattina e torna il venerdì sera e dove le lunghe tratte del pendolarismo quotidiano punteggiano le vite dei residenti già dall’età delle scuole superiori.

Con l’opzione di acquisto degli asset di «Nuova Lizzola» (la cooperativa che gestisce le seggiovie), la «Rs Impianti srl» ha gettato le basi per l’operazione riuscendo nel contempo a far breccia nel disincanto fermentato negli anni e alimentato dalle promesse mancate. Perché, dall’altra parte della valle, questa cordata di imprenditori ha mostrato di fare sul serio dopo che ha rimesso a nuovo in pochi mesi gli impianti di risalita della località scalvina. Il collegamento tra il Passo di Fontanamora e il Pizzo di Petto - tramite un tunnel con tapis roulant per attutire l’impatto ambientale - spalancherebbe uno scenario quasi trentino di una cinquantina di chilometri di piste per buona parte sopra i 1.800 metri di quota. Per portare a termine il progetto gli investitori si sono dati due anni, che nel ginepraio di vincoli, leggi e finanziamenti pubblici paiono una tempistica velleitaria. Ma l’importante è partire, ripetono qui, all’ombra del Redorta e del Pizzo Coca.

Occasione da cogliere al volo»

«Se non prendiamo al volo questa occasione siamo fessi - sentenzia Omar Semperboni, gestore del rifugio Campel e presidente della Nuova Lizzola -. Nei prossimi 6 anni dovremmo sostituire 4 impianti, con una spesa minima di 6 milioni ciascuno. Noi tutti questi soldi non li abbiamo. O diamo la possibilità ai privati di investire e ci si crede tutti, oppure facciamo la fine di Valcanale che ha chiuso 30 anni fa e non perché è fallita».

Che il raccordo con la Val di Scalve sia l’ultimo treno per il rilancio è un concetto che è riuscito a mettere d’accordo anche i due candidati sindaci, che oggi scopriranno insieme all’intero paese l’esito del voto. «Se non va in porto questo progetto le nostre valli sono morte - rimarca Walter Semperboni -. Il turismo è l’àncora di salvataggio per far rimanere i nostri giovani a lavorare. In montagna vogliamo vivere e non sopravvivere». «Lizzola da sola è un buco, Colere un buco un po’ più grande. Se fatto bene, il collegamento può essere un beneficio», ragiona Mario Marzani.

A Lizzola il turismo invernale è sempre sopravvissuto grazie alla timidezza del sole, che quassù arriva soltanto dopo il 10 gennaio e obliquamente, permettendo così al manto nevoso di conservarsi sino ad aprile inoltrato. Ma i numeri sono da località di nicchia: 1.200 sciatori nei giorni di picco, nemmeno 300 posti letto tra l’Hotel Gioan, il Garnì Anna, un ostello del Comune con 5 camere, due case vacanza private e una della parrocchia, dopo che resort e alberghi hanno via via chiuso. Il flusso sulle piste è assicurato grazie alle seconde case dei milanesi e dai bergamaschi che tornano però a valle in giornata. Pochi stranieri, per lo più polacchi, in passato qualche russo e sporadiche apparizioni di inglesi e tedeschi.

«Per il turismo invernale qui attualmente c’è poco indotto - analizza Sergio Piffari dell’Hotel Gioan -: un negozietto di alimentari, un noleggio attrezzature. Chi viene a sciare da noi di solito non noleggia, va a comprare sci e scarponi da Decathlon. Anche il turismo povero rappresenta comunque una risorsa». «Continuiamo a riempirci la bocca col turismo, ma quelli che lavorano in questo settore qui sono pochi - si rammarica Walter Semperboni -. Abbiamo molti rifugi, vero, ma è un turismo mordi e fuggi. Ben vengano allora gli investitori privati che ci credono e che sono sempre stati la figura mancante in questo progetto. L’unico rischio credo siano i costi ambiziosi: si parla di 60/70 milioni di euro e spero che i politici bergamaschi in Regione e a Roma facciano la loro parte».

Le critiche degli ambientalisti

Il progetto non piace però a tutti. Legambiente nei giorni scorsi gli ha appioppato una bandiera nera, gli ambientalisti di Orobievive lo bollano di miopia e scarsa sostenibilità. «Purtroppo nessuno dei proponenti considera le variazioni climatiche in atto e le sempre più scarse disponibilità di neve naturale - dicono -. E neppure conosce gli studi effettuati in anni recenti e che ci dicono che il mercato dello sci è praticamente saturo e non più espandibile all’infinito. Il turista cerca ora un approccio montano ecocompatibile e rispettoso dell’ambiente. Certo è che se le proposte vanno solo nel senso del profitto e dello sfruttamento a tutti i costi, non si ha nessuna possibilità di scelta».

«Non possiamo affermare che il cambiamento climatico non esista, ma questo non vuol dire che non ci sarà più neve sopra una certa quota - obietta Piffari -. Noi , tra l’altro, abbiamo molte sorgenti per l’innevamento artificiale». In paese più di uno fa notare che da queste parti non si può campare di aria per avere una montagna incontaminata. «Se le nostre zone sono così belle - ricorda Walter Semperboni - vuol dire che dal punto di vista naturalistico le abbiamo trattate bene». Il dibattito futuro si annuncia vivace e rischia di finire risucchiato dalla dicotomia semplicistica ed estremizzata «occupazione/natura». «Ma nella nostra Costituzione - avverte Piffari - è riconosciuto sia il diritto al lavoro che quello ambientale. Se pensiamo che uno prevalga sull’altro, quale che sia, si va allo scontro».

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