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Cronaca / Valle Seriana
Mercoledì 12 Febbraio 2025
Sventato rapimento in Benin: «La malaria, i bambini e i venti di guerra: amo la mia Africa, tornerò»
L’INTERVISTA. Suor Ornella Carrara si racconta dopo il rapimento sventato dagli 007 in Benin. A 81 anni un solo desiderio: completare un ospedale pediatrico.
Un mese fa suor Ornella Carrara, missionaria da oltre trent’anni in Africa, veniva prelevata in fretta e furia dagli 007 italiani e tratta in salvo dalla zona di Gbangbanga-Goumori, piccolo paese del Benin al confine con il Burkina Faso e il Niger diventata zona ad alto rischio in seguito all’assalto dell’8 gennaio a un posto di frontiera, nel quale erano stati uccisi almeno 28 soldati beninesi. Un attacco poi rivendicato dal Gruppo di supporto per l’Islam e i musulmani affiliato ad Al-Qaeda.
Da qualche settimana Carrara, suora laica dell’istituto delle Operaie di Maria Immacolata di Brescia si trova in Italia e ora è a Fiobbio, la frazione di Albino dove è nata 81 anni fa e da cui ora prosegue la sua instancabile opera missionaria con un unico obiettivo: «Tornare in Africa – dice sorridendo – per completare il mio ospedale pediatrico e aiutare mamme e bambini».
Suor Ornella, come sta?
«Sto bene, ora sono al sicuro in Italia, ma direi una bugia se affermassi di non avere avuto mai paura. Tuttavia adesso sono veramente tranquilla, non sono sola, ho intorno a me i miei familiari, la gente del mio paese qui a Fiobbio che pure mi dà coraggio. Approfitto anche dell’occasione per ringraziare ancora una volta il governo italiano e l’intelligence che mi ha prontamente trasferita in un luogo sicuro, lo devo veramente a questi uomini che sono stati molto gentili con me e affettuosi, hanno fatto di tutto per darmi tranquillità in un momento tanto delicato e convulso».
Era sola in questa operazione o anche altre persone sono state portate via da Gbangbanga-Goumori?
«C’ero solo io, non c’era nessun’altra persona bianca in zona».
Gli attacchi che hanno portato al suo rientro sono stati rivendicati da gruppi estremisti islamici: non ha mai temuto per la sua incolumità, lei suora cattolica?
«Non posso dire di non aver avuto paura, ma finora sono sempre stata attenta e prudente. L’amore della mia Africa e del Signore mi danno la forza di dire: io voglio tornare, se le condizioni di sicurezza lo consentiranno ritornerò per continuare il lavoro che ho iniziato. Adesso sono in Italia e come può vedere sto utilizzando il tempo a mia disposizione per continuare la mia missione, cercando nuovi benefattori che diano una mano per realizzare questo ospedale. Ricordiamo il detto: “Quando un povero sorride, il mondo diventa più bello”. Ne sono certa: quando ad esempio curerò un bambino che da grave comincia a sorridere e correre, questo sarà una grazia grande».
Ci parli allora dell’ospedale Piccolo Cedriac. A che punto è il progetto?
«La costruzione prosegue grazie a collaboratori locali e benefattori italiani che mi aiutano. Io confido molto nella Provvidenza e questa Provvidenza viene attraverso persone generose che amano l’Africa, che condividono il mio entusiasmo per questo progetto e per la gente dell’Africa. Soprattutto penso ci sia una cosa fondamentale: capiscono che le donazioni che arrivano all’associazione Piccolo Cedriac (www.piccolocedriac.it, ndr) vanno tutte per l’ospedale, lo assicuro. Ora come ora abbiamo realizzato l’ala che ospiterà magazzino, pronto soccorso, radiologia e blocco operatorio e si sta ultimando l’ala destra: mancano ancora porte e finestre e stiamo portando l’energia elettrica. L’intenzione è di iniziare con un piccolo ambulatorio e quando l’ospedale funzionerà a pieno regime vi opereranno medici e infermieri del Benin, ci sono medici africani molto molto bravi, e occasionalmente verranno dei medici italiani: c’è tanto bisogno di aiutare le persone di questa zona, lo dico forse perché sono troppo innamorata dell’Africa, ma soffrono davvero, vanno aiutate».
Quali sono le emergenze maggiori?
«La malattia più grave è la malaria, io stessa l’ho presa più volte. Quando lavoravo a Kandi, nel nord del Benin, vedevo bambini sotto i 5 anni morire: la malaria distrugge tutti i globuli rossi e spesso i loro genitori rifiutano le trasfusioni, così il male avanza e si perdono questi pazienti. Ricordo un bambino che mi è morto in braccio mentre cercavo di trasferirlo».
Quando e come è nato in lei questo «mal d’Africa»?
«Sono entrata in questo istituto che avevo la quinta elementare, ho fatto tutto il corso degli studi fino a diventare medico con la specialità di chirurgia generale perché l’ho ritenuta la migliore per andare in missione ed essere di maggior aiuto. Ho sempre studiato per l’Africa. Ecco, posso dire di aver sempre avuto due passioni: l’Africa e la chirurgia e ho cercato di realizzare tutte e due. Guardi che io sono bergamasca, si sa cosa vuol dire: avere tantissima volontà, lavorare duro e raggiungere gli obiettivi. E io volevo l’Africa».
Che è diventata la sua casa: dove ha operato e per quanti anni?
«Dopo un primo periodo in Italia, nella casa editrice del nostro istituto, sono finalmente partita e ho lavorato in diversi ospedali nel centro del Togo e in Benin, sia al sud che al nord, per più di trent’anni».
Oggi di anni ne ha 81...
«Sì (sorride...), ma i miei genitori mi hanno fatto il regalo di essere fisiologicamente molto più giovane. Sono nata il 23 agosto 1943, ho sempre lavorato senza problemi, sono forte e ho resistito anche ai terroristi. Poi dico la verità: quando mi accorgerò di non essere più così in forze avrò l’umiltà di dire stop. Intanto però seguo questo amore appassionato per l’Africa, che nasce dall’amore verso Dio».
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