«Diana, sempre nel passeggino. Difficile strapparle un sorriso»

Leffe Il rammarico di chi incrociava la Pifferi. Martedì l’autopsia della bimba. La madre sorvegliata speciale in carcere a San Vittore: si temono aggressioni.

«Era una bambina carina, ma un po’ tristina: era difficile strapparle un sorriso, la madre la teneva sempre nel passeggino. A saperlo, avremmo potuto fare qualcosa di più per farla almeno sorridere. Ma chi avrebbe immaginato cosa c’era dietro?». È il rammarico a prevalere nelle strade assolate di Leffe a quasi una settimana dal ritrovamento del corpo senza vita di Diana Pifferi, la bimba di quasi un anno e mezzo morta di stenti – oggi (martedì 26 luglio) l’autopsia chiarirà anche se era stata sedata con delle benzodiazepine – per essere stata lasciata sei lunghissimi e afosi giorni da sola in casa, alle porte di Milano, dalla madre Alessia Pifferi, 36 anni, in carcere a San Vittore.

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«A pensare che sette giorni fa quella donna era qui in paese mentre la figlia moriva, mi viene il magone – evidenzia una negoziante –. Quando facevamo notare alla mamma che Diana era un po’ smortina, le aveva già la risposta pronta: è nata prematura, di sette mesi, è un po’ gracilina. Invece ora salta fuori che già in passato l’aveva lasciata a casa da sola senza cibo. E pensare che invece lui, il compagno qui di Leffe (Mario D’Ambrosio, ndr), sembrava quasi più affezionato alla piccola». Dalle indagini di Procura e Mobile milanesi è infatti emerso che già in passato la Pifferi, per sua stessa ammissione, aveva lasciato la figlia a casa per serate o notti che trascorreva fuori casa. Mai, invece, per un periodo così lungo come i sei giorni che sono costati la vita alla bambina.

L’esito dell’autopsia – in programma in mattinata all’Istituto di medicina legale di piazzale Gorini a Milano – potrebbe addirittura aggravare la posizione di Alessia Pifferi: se dovesse emergere che la bimba aveva assunto l’«En», l’ansiolitico di cui è stato trovato un flacone quasi vuoto nella casa di Ponte Lambro a Milano, potrebbe infatti essere contestata alla trentasettenne anche l’aggravante della premeditazione. In carcere a San Vittore la donna è sottoposta – su ordine del gip Fabrizio Filice – al regime di sorveglianza speciale: da un lato si temono suoi gesti autolesionistici, dall’altro è alto il timore che possa essere aggredita da altre detenute, vista l’accusa per cui è in carcere, ovvero l’omicidio volontario della figlia di un anno e mezzo.

L’apice di una situazione che si protraeva dalla nascita di Diana – avvenuta prematura il 29 gennaio 2021 nella casa del compagno a Leffe – e che nell’ordinanza di convalida del fermo il gip ha definito come «un’ampia e franca possibilità di condotte reiterative di tipo abusante e maltrattante, non escludibilmente anche di tipo violento e persecutorio». In altre parole, Diana veniva trattata in modo crudele praticamente tutti i giorni dalla madre, quasi che la bimba fosse per lei un fastidio, tanto da non chiedere mai un aiuto o almeno un supporto quando stava lunghe ore o addirittura notti intere fuori casa, a sua madre – che ieri ha scritto sui social «mia figlia è un mostro» – o a sua sorella, con le quali i rapporti erano logorati. Alessia Pifferi non voleva essere sempre giudicata, ha spiegato, freddamente, durante gli interrogatori. E ha fatto così prevalere l’orgoglio alla vita della figlia.

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