Cordoglio a Valbondione per la morte di padre Simoncelli: 50 anni in Congo

Lutto. Il missionario saveriano originario del paese bergamasco si è spento venerdì 13 gennaio a Kilomoni. Dal 1969 ha svolto diverse attività in Africa mantenendo un forte legame con la sua terra.

Sincero rincrescimento a Valbondione per la scomparsa di padre Giulio Simoncelli, 87 anni, avvenuta in Africa , venerdì 13 gennaio: per ben 50 anni ha svolto il suo apostolato in Congo, come missionario saveriano. È morto nella Casa saveriana di Kilomoni dove da circa 10 anni risiedeva. «Avevo parlato telefonicamente con lui – dice Renato Morgandi dell’Imetec, suo amico di sempre -. Per le sue precarie condizioni di salute causate dalla malaria mi ha detto che era in procinto di essere ricoverato in ospedale. Purtroppo è spirato nelle prime ore pomeridiane, lasciando in tutti un grande vuoto».

Vocazione e studi

Sabato 21 gennaio, alle 17, nella chiesa parrocchiale di Bondione sarà celebrata una Messa nel suo ricordo dal parroco don Michele Rota e dai padri saveriani, tra i quali un suo nipote missionario, padre Virginio Simoncelli. Padre Giulio, ultimo di 8 fratelli, tutti maschi, era nato a Valbondione il 15 aprile 1935. Mamma Domenica e papà Domenico avevano trasmesso a lui e fratelli una fede viva. Tanto è vero che nel 1947 padre Giulio entrò nell’Istituto Saveriano Missioni Estere, con il fratello Luigi. La sua ordinazione sacerdotale, a Parma, è datata 15 ottobre 1961. Nel 1968 con il fratello Luigi si recò in Belgio per approfondire lo studio della lingua francese e quindi nel 1969 venne destinato, con il fratello, in Congo. Luigi purtroppo , a 38 anni, nel 1970 muore per incidente aereo. In Congo padre Giulio ricopre vari incarichi. Sempre creativo, allegro, sportivo (grande tifoso dell’Atalanta), era amato dai suoi parrocchiani e rispettato anche dai non credenti.

Il popolo dei Balega

Operando anche tra il popolo dei Balega, nella foresta del Congo, padre Simoncelli imparò la loro lingua, scrivendo poi un libro che parla di questo popolazione, della sua storia, delle sue tradizioni, che altrimenti sarebbero andate perdute per sempre. Ogni tanto tornava in Italia per curarsi, passando qualche tempo nel suo paese natale. Per lui era un tuffo meraviglioso tra la sua gente, parenti e amici con i quali era cresciuto, facendo anche escursioni sulle montagne di casa, che tanto amava. Il suo testamento spirituale? Lo possiamo dedurre da una risposta data tempo fa ad un cronista sul problema della morte: «La morte - affermò il missionario - la sento come un’amica che mi aprirà all’eterna contemplazione del buon Dio. Quando arriverò davanti al Signore gli farò un solo rimprovero: perché hai tardato tanto a chiamarmi?».

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