Addio Amalia Mosconi, la staffetta partigiana sui monti in Valgandino

La storia Presidentessa onoraria Anpi, aveva 102 anni. Vedova di Bepi Lanfranchi, comandante della Camozzi. A vent’ anni in bici portava sui monti i biglietti del Cnl.

Lunedì sera ha ascoltato un po’ la radio e finito di leggere un libro, naturalmente sul periodo della lotta partigiana.Poi, sempre sorridente, ha scambiato qualche parola con la figlia Daniela e, dopo la cena, si è addormentata senza più risvegliarsi.

Così, in modo inatteso ma senza sofferenze, si è spenta Amalia Mosconi, presidentessa onoraria dell’Anpi provinciale di Bergamo, staffetta partigiana in prima fila nella Resistenza contro il nazifascismo e vedova di Bepi Lanfranchi, comandante partigiano della brigata «Gabriele Camozzi» e poi veterinario a Lovere, mancato nel dicembre del 1999.

Amalia aveva 102 anni, tutti trascorsi nel promuovere quei valori conquistati dai partigiani, nel periodo in cui lei, ragazza, rischiava la vita per portare da Bergamo ai monti della Valgandino i biglietti nascosti tra i capelli o sotto le suole delle scarpe a chi lottava in prima fila nella Resistenza, con le indicazioni del Comitato di liberazione nazionale per i partigiani in lotta sui monti. Monti che lei conosceva fin da bambina. Era nata infatti a Leffe, proprio in Valgandino, il 10 febbraio del 1920. E a soli 18 anni Amalia era campionessa di italiana di scherma e grande appassionata di sci e montagna.

Amalia aveva 102 anni, tutti trascorsi nel promuovere quei valori conquistati dai partigiani

E proprio sul monte Farno, a vent’ anni, incontra Giuseppe Lanfranchi, futuro comandante della brigata Giustizia e Libertà «Camozzi» oltre che suo futuro marito e papà dei loro tre figli Bianca, Paolo e Daniela. Il suo sogno all’epoca era quello di frequentare l’Accademia di Brera a Milano, ma l’ingresso in guerra dell’Italia scombussola anche i suoi piani. Sono anni davvero duri: la sua foto circola negli uffici della questura di Bergamo, dove vive, e il regime la tiene sotto stretto controllo. Lei ufficialmente dà una mano al padre, di professione costruttore, che in guerra riforniva di lignite le fabbriche rimaste senza carbone: «Ma in bicicletta o a piedi - aveva raccontato in più occasioni -, passando dalle periferie, riuscivo a raggiungere Casnigo e Gandino, dove i partigiani aspettavano gli ordini del Comitato di liberazione nazionale».

A guidare quegli uomini e coordinare sabotaggi e resistenza proprio grazie ai biglietti che portava di nascosto Amalia c’era Bepi, salito tra i monti dopo l’8 settembre del 1943. All’epoca Amalia e Bepi erano fidanzati: si sarebbero sposati il 21 maggio del ’45, quando la guerra era finita da meno di un mese, e poi trasferiti a Lovere, dove negli ultimi anni Amalia era ospite della Casa Serenità di Lovere dove la notte tra lunedì e martedì è spirata, lucida fino all’ultimo.

«Amava arte e bellezza»

«È stata coerente fino all’ultimo con i suoi valori - racconta la figlia Daniela -. Era rigorosa e intelligente, esigente verso noi figli. Ha sempre amato l’arte e la bellezza: da ragazza avrebbe voluto intraprendere un percorso artistico, ma i bombardamenti dei treni verso Milano hanno spinto mio nonno a farla lavorare da lui alla miniera della Valgandino, come segretaria e tuttofare. Nel contempo lei, conoscendo fin da bambina quelle montagne, raggiungeva mio papà per la staffetta partigiana».

Mercoledì pomeriggio l’ultimo saluto, in forma privata per volere della famiglia, al cimitero di Clusone, dove il feretro è stato poi tumulato. Presente la sezione Anpi con il presidente provinciale Mauro Magistrati, il patriota Carlo Aresi e alcuni amici di Amalia. Una vita, la sua, intensamente vissuta nella memoria della Resistenza e dell’antifascismo. Due mesi fa era scomparsa a 107 anni la sorella Maria.

«Umile, colta, elegante, garbata, ma fortemente tenace e grintosa - ha ricordato il presidente Magistrati -, in una nota biografica pubblicata nel libro “I giorni alti. Bepi Lanfranchi e i suoi compagni” di Angelo Bendotti, scriveva: “Staffetta si diventa con il tempo, perché un po’ per volta fai le cose e non sai nemmeno che fai la staffetta. C’erano momenti difficili, in cui dovevi pensare se muoverti in un modo o nell’altro. Dovevi incontrarti con persone che non avevi mai visto, quindi c’era l’incertezza di non rivolgerti alla persona giusta. Non è facile raccontare quante situazioni difficili e pericolose si venivano a creare, quante responsabilità c’erano, e quanta cautela si doveva avere nel parlare e nell’agire. La tensione, a volte la paura, era tanta, ma tanta era anche la convinzione di ciò che ti impegnavi a fare”».

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