Uccise la rivale a Gorlago, i giudici d’Appello: «Spietata: non comune malvagità»

Le motivazioni della sentenza che ha confermato i 30 anni di cella: Chiara Alessandri ebbe un «desiderio irrefrenabile di punire» Stefania Crotti.

Una «condotta omicidiaria» dai «tratti decisamente ripugnanti», che «eccedono largamente il già elevato disvalore riconducibile all’aggravante della premeditazione», nella quale «risalta la non comune malvagità di una donna che, posseduta unicamente da un desiderio irrefrenabile di punire e sopprimere la rivale, ha approntato e pianificato una complessa macchinazione che le ha consentito di far cadere in una vera e propria imboscata l’ignara vittima, divenuta così sua preda facile».

È uno dei passaggi delle 30 pagine nelle quali i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia il 5 marzo scorso hanno confermato la condanna a 30 anni emessa in primo grado nel giugno dell’anno scorso dal gup di Brescia, Alberto Pavan, nei confronti di Chiara Alessandri, 46 anni, di Gorlago, per l’omicidio di Stefania Crotti, 42 anni, la moglie dell’uomo con cui aveva avuto, in passato, una relazione sentimentale.

Ora sono state rese note le motivazioni della decisione dei giudici dell’Appello, che avevano confermato il verdetto di primo grado, ovvero l’omicidio premeditato e il dolo alternativo . I fatti risalgono al 17 gennaio del 2019, quando Chiara Alessandri avrebbe attirato in trappola la rivale, facendola accompagnare da un ignaro complice fino al box interrato della sua abitazione a Gorlago, dove l’avrebbe aggredita con 21 martellate. A quel punto avrebbe caricato la Crotti ancora viva ma tramortita nel baule della sua auto e avrebbe guidato fino a raggiungere una zona collinare tra Erbusco e Adro, in Franciacorta, dove avrebbe scaricato il corpo e il martello, cospargendoli di benzina e appiccando le fiamme. L’autopsia aveva confermato che la quarantaduenne, anche lei di Gorlago, era in quel momento ancora viva, benché incosciente: la morte sopraggiunse dunque in territorio bresciano e per questo il caso è rimasto di competenza della magistratura di Brescia. Prima con la decisione del gup e poi con la conferma dell’Appello: i difensori avevano già annunciato un ricorso in Cassazione.

Nelle motivazioni i giudici dell’Appello, presieduti da Giulio Deantoni, ritengono «pienamente condivisibili» le valutazioni del primo giudice, che aveva «negato la concessione delle attenuanti generiche in conseguenza soprattutto dell’estrema gravità delle modalità di esecuzione del crimine, a fronte della mancanza di elementi concretamente valorizzabili in favore della prevenuta». Nonostante il «positivo comportamento tenuto in carcere» dalla Alessandri, che è detenuta a Brescia, «non vi sono parole per descrivere la spietatezza con la quale l’imputata ebbe ad infliggere all’indifesa persona offesa quella spaventosa sorpresa. Forse a raffigurarla potrebbe bastare il ricordo dell’urlo “molto straziante” e di paura che la vicina di casa ha riferito di aver percepito quel tragico pomeriggio ». La Alessandri, inoltre, avrebbe agito «senza pietà» in una condotta dalla «devastante portata offensiva» per punire sia la rivale sia il marito. Inoltre l’imputata a processo avrebbe continuato a «sminuire la propria responsabilità», sostenendo di essersi difesa e negando di aver dato alle fiamme il corpo della rivale. Per questo sono state negate le attenuanti generiche. Revocata anche la misura della libertà vigilata per tre anni a fine pena: mancano elementi che possano ritenere che l’Alessandri «peraltro incensurata, sarà portata a delinquere» una volta espiata la pena.

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