Cronaca / Valle Cavallina
Mercoledì 22 Aprile 2020
L’ex parrucchiera ora soccorritrice
«Adesso regalo la bellezza dell’aiuto»
Chiuso il negozio a Carobbio, Alessandra si è dedicata ai soccorsi: dal 2015 lavora al 118. «Le carezze sui monitor, paura ma anche tanta umanità».
Non se lo dimentica. Il momento che alzava la saracinesca del suo negozio di parrucchiera a Carobbio e subito pensava ai desideri delle clienti: a un nuovo taglio, alla piega perfetta. Quelle domande - e spesso quei capricci - ora sembrano irreali, ancora più lontani. Alessandra Tolotti, 37enne di Gorlago, si era già stancata di quella routine nel 2010: «Non mi apparteneva più e la stanchezza di quella vita mi ha dato la forza di prendere un’altra strada». Di aiutare il prossimo, «ma non per farlo più bello, ma per sostenerlo nella malattia, per soccorrerlo nella sofferenza»: da volontaria della Croce Rossa, Alessandra dal 2015 è dipendente sul servizio 118 per Croce Rossa Bergamo Hinterland e referente in Humanitas Gavazzeni per dipendenti e volontari di Croce Rossa Bergamo Hinterland che operano nella struttura così come del servizio di comunicazione tra pazienti isolati e i loro familiari che lei stessa e altri volontari dell’ospedale portano avanti in corsia, con i tablet.
Il negozio «Riflessi di immagine» è così un ricordo, adesso molto lontano, «ora che la mia scelta mi ha reso ancora più consapevole di cosa significhi lavorare a contatto con la malattia e la morte». Alessandra è una donna molto pragmatica, concreta, spigliata. La voce squillante, la parlantina rapida, le spiegazioni dettagliate degli interventi. Lei e il suo caschetto biondo: te la immagini mentre tagliava veloce un’acconciatura, pettinava una sposa: «Vice campionessa mondiale di acconciature da sposa e pluricampionessa internazionale» sorride e torna alla realtà: «Sono state soddisfazione sì, ma che ora appaiono così microscopiche». E torna a queste ultime settimane: «Ancora di più ho capito che questa era la vita che volevo, il bisogno di essere accanto alle persone malate, tenendo loro la mano, accompagnandole in questi giorni di dolore, valutando rischi e risolvendo emergenze».
E lo dice, così, senza tanti giri di parole: «Mi sento realizzata aiutando gli altri e non me li dimenticherò questi viaggi in ambulanza nelle strade deserte, verso case silenziose». Incontri che «ti restano addosso, nel trasferimento dei pazienti realizzi la criticità la gravità, la disperazione».
Come quel giorno a casa di una donna che non voleva essere trasferita in ospedale: «Nella stanza accanto curava il marito paraplegico: era terrorizzata al pensiero di lasciarlo, ma la febbre era alta e il livello di saturazione ai minimi». Immediato l’intervento e la rete sociale che ha permesso di non lasciare solo l’uomo, assistito grazie all’intervento della parrocchia e del Comune. «Lei è deceduta pochi giorni dopo in ospedale e non mi dimenticherò mai i suoi occhi, il tremore delle sue labbra prima del pianto, così come non dimenticherò lo sguardo degli amici, dei colleghi che ora non ci sono più».
Alessandra piange e lo fa senza timori: «Perché abbiamo paura e non possiamo negarlo, non dobbiamo negarlo – spiega –. In questi mesi ho vissuto la preoccupazione, il terrore, la fatica dei turni di 15 ore, la paura. Ora c’è ancora la preoccupazione del futuro e di cosa succederà con possibili nuove fasi di contagio».
Nella paura anche grandi gioie: «Immense: in Humanitas Gavazzeni abbiamo attivato le comunicazioni in videochiamata tra i malati e i familiari. La gioia, la paura, un’incredibile senso di umanità sono la forza di quelle poche parole, di carezze su un monitor, di lacrime che non si fermano e ci rendono tutti uguali, fragili nella vita, forti per combattere la morte». Alessandra pensa alla videochiamata di pochi giorni fa: «Moglie e marito, in due ospedali differenti, entrambi malati: non si salutavano da un mese, non sapevano le condizioni uno dell’altro. È bastato uno sguardo per ricordarsi tutta la vita condivisa».
Poi ci sono gli sguardi tra i colleghi, su quelle ambulanze cariche di impotenza e di speranza allo stesso tempo: «Anche noi ci guardiamo negli occhi, bardati come siamo spuntano solo quelli. Ogni tanto non facciamo altro che stringerci la mano e dircelo: che insieme possiamo farcela, che dobbiamo continuare a lottare».
Anche adesso che i turni stanno tornando alla normalità e le chiamate sono diminuite: «Ma non dobbiamo abbassare la guardia». Lo dice e pensa a nonno Mario: «Ha 86 anni, era ricoverato a Romano, ora lo stiamo curando a casa con quella roccia di nonna Anna, 80 anni. Guardo loro e mi sento fortunata». Poi un sorriso: «Certo, mi vengono in mente le “richieste impossibili” delle mie signore nel salone di bellezza. Ora barba e capelli li faccio ai miei pazienti in corsia». Un gesto estemporaneo, quando si può, che parla di affetto: «Per prendersi cura, anche così». Senza capricci, solo per restare umani.
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