«Bonomelli, non fu omicidio volontario»

ENTRATICO. Le difese di Matteo Gherardi e Poretti chiedono l’abbreviato: «Non si sono mai prefigurati che potesse morire».

La morte in un parcheggio di Entratico di Angelo Bonomelli non fu omicidio volontario con dolo eventuale, ma una conseguenza non voluta (e neanche accettata come rischio) di un altro reato: la rapina. In aula, gli avvocati Gianluca Quadri (che difende Matteo Gherardi) e Luca Bosisio (per Omar Poretti), hanno chiesto alla Corte d’Assise di Bergamo che il reato a carico dei loro assistiti venga riqualificato e, in virtù di questo, che siano giudicati con rito abbreviato. Una linea che, è facile ipotizzare, sarà seguita anche nell’udienza del 10 luglio dalla collega Roberta Zucchinali, che assiste gli altri due imputati: il padre (Rodolfo Luigi Gherardi) e la fidanzata (Jasmine Gervasoni) di Matteo Gherardi.

«Il sonnifero solo per addormentarlo»

L’avvocato Quadri ha puntato l’attenzione sulla quantità di Rivotril versato nel caffè dell’anziano, «per provocare solo l’addormentamento» e rapinarlo. Ciò che Gherardi si aspettava quella sera di novembre 2022, avendo già usato questo farmaco per altre rapine, è ciò che accadde: «L’anziano si addormenta», in un lasso di tempo che corrisponde a quanto già sperimentato nelle passate occasioni. «L’auto con Bonomelli è stata poi portata in una zona dove ci sono delle aziende, vicino a una strada, perché la previsione era che si sarebbe svegliato e sarebbe tornato a casa», ha proseguito il legale. Quando poi i Gherardi e Gervasoni tornarono nel parcheggio, dopo la vendita dell’orologio dell’anziano in un Compro oro, non chiamarono i soccorsi: «Era addormentato, sapevano che stava bene e che si sarebbe svegliato». Il legale esclude che all’anziano sia stata versata una intera boccetta di Rivotril nel caffè: «C’è il goccimetro, per stilare 10 gocce servono 16 secondi, per versarla tutta ci sarebbero voluti 20 minuti». Non ci sarebbe stato il tempo, evidenzia la difesa, e neanche la quantità: il Rivotril era già stato aperto da Gherardi (considerato dall’accusa l’ideatore del piano) che ne faceva uso, e si era in parte versato nella tasca di Poretti (che materialmente ha versato la medicina).

La ricostruzione del movente

La rapina fu inoltre un’azione «estemporanea», nata per un bisogno di denaro: Matteo Gherardi, che si disse ludopatico, doveva restituire 350 euro a un usuraio. Fallito il tentativo di recuperare la somma la mattina, la sera ci fu la rapina. Ai danni dell’imprenditore che si era fidato di lui, e che gli aveva anche prospettato un’assunzione. Ma come si inserisce in questo quadro colui che materialmente verso le gocce del medicinale? Lo spiega il suo legale: «Serviva a Gherardi per dire a Bonomelli, dopo il risveglio: quando sono andato via tu stavi bene, non so cosa abbia fatto dopo». Ma serviva anche «per andare dal Compro oro». Poretti si presta perché in quel momento «anche lui ha bisogno di denaro». L’avvocato Bosisio rimarca: «Non si sono mai prefigurati la possibilità che Bonomelli potesse morire».

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