Addio al bonus per nidi e baby sitter
«Andava rinnovato: aiuti a 848 famiglie»

La misura valeva 600 euro al mese per le madri che rinunciavano a una parte del congedo parentale. I sindacati: «Opportunità in meno per le lavoratrici».

Addio al bonus da 600 euro mensili per sei mesi, da utilizzare per baby sitter e asili nido. La Legge di Bilancio 2019 ha cancellato il beneficio a sostegno delle neomamme intenzionate a rinunciare alla maternità facoltativa (i sei mesi pagati al 30% dello stipendio, concluso il congedo parentale obbligatorio). Una recente circolare dell’Inps ha sancito la decisione presa dal Governo di non rifinanziare questa misura. Misura che in cinque anni aveva aiutato, in tutta la provincia di Bergamo, 848 mamme a fronte di 1.214 domande. «Decisione inspiegabile – commenta Orazio Amboni, Welfare Cgil -. Proprio perché non era una gran spesa per lo Stato, non si capisce perché il governo abbia voluto cancellarla visto che aiutava comunque le donne». Secondo Mario Gatti della segreteria Cisl, «per sostenere realmente la famiglia, servono politiche strutturate, invece l’aiuto alla genitorialità passa in secondo piano».

La misura

Il bonus baby sitter e asili nido (o bonus infanzia) era stato introdotto nel 2013 con l’obiettivo di incentivare le mamme a rientrare sul posto di lavoro dopo la nascita del bebè. Molte donne, infatti, non trovando adeguato supporto (a causa della mancanza di aiuti in famiglia, dei costi eccessivi per asili nido e baby sitter o per la mancata accettazione delle domande), si trovano a lasciare la propria occupazione, non sapendo a chi affidare il proprio piccolo. Il bonus consisteva in una sorta di «scambio»: alla donna che non usufruiva del congedo parentale, i sei mesi facoltativi pagati al 30% dello stipendio, veniva riconosciuto un bonus complessivo di massimo 3.600 euro, 600 euro mensili per sei mesi. Un voucher da utilizzare per i servizi di baby sitting o l’iscrizione all’asilo nido del piccolo.

I dati

Nella provincia di Bergamo, sono state 1.214 le mamme che hanno presentato domanda a partire dal 2013. I numeri si sono dimostrati in aumento, a eccezione dell’ultimo anno. Delle richieste inoltrare, 848 sono state poi effettivamente accolte, 366 invece sono state respinte. A gestire la pratica era l’Inps, che ha elaborato i dati. L’erogazione del maggior numero di bonus è stata in capo alla sede Inps di Bergamo dove 405 domande sono state accolte, mentre 139 sono state respinte, seguita dalla filiale di Treviglio dove 109 istanze sono state approvate, 53 non accolte. Seguendo in ordine questa classifica, c’è poi la sede di Grumello del Monte, con 88 voucher erogati, 50 non accolti. E ancora, Terno d’Isola (81 accolte, 60 respinte), Clusone (81 accolte, 36 respinte), Romano di Lombardia (62 accolte 17 respinte) Zogno (22 accolte, 11 respinte).

Le domande presentate sono aumentate nel corso degli anni (con eccezione del 2018), perché la misura aveva riscontrato l’interesse delle mamme. Dal primo gennaio, tuttavia, questo supporto è stato annullato e le richieste non possono più essere presentate, mentre – come precisa la circolare dell’Inps – chi aveva già ottenuto l’erogazione, potrà continuare a ottenerla fino al 31 dicembre.

Le reazioni

La decisione del governo di cancellare il bonus Infanzia ha scatenato le reazioni. «I numeri, come si vede, non sono elevatissimi – riconosce Orazio Amboni della Cgil - questo perché la stragrande maggioranza delle donne preferisce usufruire del congedo parentale e stare col proprio piccolo, proprio nei primi mesi di vita del bambino». Ma, prosegue, «proprio perché non era una gran spesa non si capisce perché abbiano voluto cancellarla: non è un gran risparmio per il bilancio dello Stato, ma è sicuramente un’opportunità che vien meno per le donne che ne avevano bisogno».

Amboni ricorda alcune di queste situazioni, «come l’assoluta necessità di rientrate perché si è in condizione di difficoltà economica o perché ci sono problemi sul lavoro ed è necessaria la presenza della lavoratrice. Il beneficio era stato esteso anche alle lavoratrici Co. Co. Co, alle lavoratrici autonome e alle imprenditrici». Al di là delle ragioni del calo demografico, sostiene Mario Gatti della segreteria Cisl, «che sia legato a un passaggio storico o alla mancanza di sostegni alla genitorialità, è necessario garantire l’assistenza all’interno di una politica strutturale. Queste decisioni del Governo dimostrano il contrario: passa sempre in secondo piano». E puntualizza: «Si dirà, a difesa di questa decisione, che è stato aumentato il bonus bebè, ma - conclude - si tratta di un aumento di poche decine di euro al mese».

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