Sorgente Nossana, lo studio dei geologi della Statale con Uniacque: «Fasi critiche destinate a crescere»

GLI SCENARI. «Dal 2060 possibile necessità di risorse idriche in più». È la conclusione a cui arriva uno studio - primo in Italia del suo genere - sulla sorgente più importante della nostra provincia.

«Potrebbero essere necessarie risorse idriche addizionali per soddisfare la domanda della popolazione nell’area servita dalla sorgente Nossana, soprattutto dopo il 2060». È la conclusione a cui arriva uno studio della Statale di Milano (nato da una convenzione con Uniacque) sulla sorgente più importante della nostra provincia, che assicura l’acqua potabile a oltre 300mila persone. Uno studio primo in Italia nel suo genere: non solo ricostruisce come la sorgente «funziona» e si alimenta, ma propone anche modelli di calcolo per simularne il futuro, sulla base di diversi scenari di cambiamento climatico. Ed è soprattutto nella seconda metà di questo secolo che si ipotizzano gli impatti più significativi, con la tendenza a un aumento dei periodi critici estivi.

Provare a guardare avanti serve a pensare fin d’ora possibili «contromisure»: «I risultati dello studio – osserva Giovanni Pietro Beretta, professore di Idrogeologia applicata all’Università degli Studi di Milano (Dipartimento di Scienze della Terra Ardito Desio), che ha lavorato alla ricerca insieme a Corrado Camera e Andrea Citrini ­– potranno consentire a Uniacque di pianificare studi e azioni mirate all’individuazione di risorse idriche integrative rispetto a quelle attualmente utilizzate. In questo momento tutte le soluzioni che si mettono in campo per la siccità sono un po’ emergenziali, è importante invece avere strumenti per guardare più avanti».

I primi studi sulla Nossana risalgono alla fine dell’Ottocento. La portata media è di circa 3.800 litri al secondo, ma in fase di piena si arriva anche a 18mila. La fonte garantisce l’acqua potabile a una parte rilevante della provincia, capoluogo compreso, con una qualità «rinomata» che trova conferma in questo studio. «Per verificare come si alimenta la sorgente abbiamo utilizzato rilievi sul campo, foto aeree, studi precedenti», spiega Beretta. I rilevamenti idrogeologici e le misure con tecniche isotopiche hanno chiarito che l’alimentazione deriva dal massiccio carsico di superficie di circa 80 chilometri quadrati del monte Arera. La «quota media di ricarica» è calcolata a circa 1800 metri. E poi, scesa nel sottosuolo, l’acqua vi rimane per un bel po’: si stima che riemerga mediamente dieci anni dopo.

I calcoli sul futuro

«Dopo aver ricostruito con un modello numerico il comportamento attuale della sorgente, abbiamo fatto delle proiezioni a lungo termine in base ai cambiamenti climatici, simulando diverse condizioni di temperatura e precipitazioni»,­ aggiunge il professore. Si sono applicate tecniche statistiche per «aggiustare» i modelli climatici globali alla scala locale: gli scenari vanno da un aumento delle temperature di 0,7°C con politiche di riduzione delle emissioni di CO2, fino a un riscaldamento di 5,8°C (a fine secolo) se si continuerà con il «business as usual».

Non si ha una chiara indicazione sulla tendenza delle precipitazioni: gli esperti hanno ipotizzato una diversa distribuzione nei mesi, con poche piogge estive, ma forti temporali autunnali. In particolare dal 2060 (che oggi sembra lontano, ma è praticamente dietro l’angolo) si prevede una netta diminuzione delle precipitazioni nel periodo estivo, che va di pari passo col calo delle portate medie. Il risultato sarebbe un aumento dei periodi critici estivi nella seconda metà del secolo, arrivando fino a 64 giorni l’anno in cui la portata minima della sorgente risulterebbe inferiore alle soglie per coprire l’attuale fabbisogno idrico (500 litri al secondo). I momenti critici sarebbero così fino all’86% più numerosi rispetto al periodo 1998-2017.

«C’è margine per mettere in campo delle azioni – sottolinea Beretta –. Ci sono tante indicazioni sulle direzioni in cui muoversi: l’attenzione ai consumi di tutti i tipi (potabile, industriale, irriguo), una migliore gestione delle risorse, o ancora facilitare, con la costruzione di bacini, la ricarica delle acque sotterranee». Oltre alla ricerca di nuove fonti. Quanto allo studio, non ci si ferma qui: «Visti i risultati, l’orientamento è a procedere, tramite nuove convenzioni, ad approfondire altre sorgenti del nostro territorio, tra cui quella di Algua», annuncia l’ad di Uniacque Pierangelo Bertocchi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA