Cronaca / Valle Brembana
Lunedì 12 Settembre 2022
L’intervista al Ferdy: «Turismo in montagna? Per vincere la sfida si competa con il mondo»
Terre Alte. Prosegue l’inchiesta de «L’Eco di Bergamo» sul futuro della montagna. Ferdy Quarteroni: il turismo di massa non ha futuro. A Ornica? «Facciamo entrare 30 persone alla volta. Sogno una baita spettacolare».
Ferdy Quarteroni, da Ornica, ex elettricista. Trent’anni fa aprì un agriturismo, a Lenna, dall’altra riva dei piani di Scalvino, trasformando una vecchia stalla. Qualcuno gli diede del folle. Oggi quell’agriturismo è diventato un must per calciatori, uomini di spettacolo, attori, influencer di tutta Italia. Un agriturismo «stellato» rimasto però fedele alla filosofia di Ferdy: un’azienda agricola che deve fare multifunzionalità, attenta alla biodiversità, alla sostenibilità e all’identità, alla salvaguardia del territorio. L’azienda è così diventata un formidabile motore turistico, capace di dare lavoro a decine di persone e attirare in Val Brembana clienti da tutto il mondo.
Ferdy, qual è il segreto?
«Sono quelli che hai detto: io ho iniziato a parlare di multifunzionalità 30 anni fa, già la facevo. Quando oggi mi vengono a parlare di multifunzionalità di un’azienda agricola, io sorrido. Per me ormai sono concetti normali, indispensabili per ridare forza alla montagna. Io ero all’avanguardia allora. I prodotti che offriamo ai nostri ospiti nascono in azienda. Per noi è fondamentale l’identità territoriale: le vacche sono Brune alpine originali, le capre sono quelle di razza Orobica, usiamo solo prodotti naturali. Produciamo a impatto e chilometro zero. Questo alla fine è stato il mio segreto, quello che ci ha portato dove siamo arrivati ora».
«Ma perché uno deve andare in vacanza una settimana all’anno, perché ha bisogno di staccare dalla vita di tutti i giorni? Ha ancora senso tutto questo? Non è forse meglio trovare durante l’anno un modo di vivere diverso?»
Ma cosa significa multifunzionalità?
«Significa che io, fin dall’inizio, oltre a fare l’allevatore e il ristoratore, ho iniziato a fare equitazione, fattoria didattica, settimane verdi, ero apicoltore e parlavo ai ragazzi di biodiversità e sostenibilità. Di ambiente, di natura, di formaggi e vacche».
È questo il turismo del futuro anche per le nostre montagne?
«Il turismo di una volta non va più bene. Il mio è stato sempre un turismo di salute, di cultura, naturale, con cibo a impatto zero, di identità, io non ho mai fatto un turismo classico. Quello ormai non ha più futuro, è insostenibile, inquina. Ma perché uno deve andare in vacanza una settimana all’anno, perché ha bisogno di staccare dalla vita di tutti i giorni? Ha ancora senso tutto questo? Non è forse meglio trovare durante l’anno un modo di vivere diverso?»
Con l’agriturismo a Lenna nacque subito dopo l’albergo diffuso di Ornica, pioniere di un certo tipo di turismo.
«L’albergo diffuso era un turismo di responsabilità e sostenibilità, dove io non andavo a creare alcun impatto ambientale o sulla popolazione. In Lombardia fummo i primi e arrivarono a conoscerci da tutta Italia, arrivavano dal mondo, abbiamo ricevuto riconoscimenti».
E, oggi, quel modello come va? Ornica ad agosto era affollata: fungaioli, escursionisti, non si riusciva a trovare un parcheggio.
«Io a Ornica devo portare 30 persone alla volta, con delle idee, gente che ti apprezza. Non la massa. Se vengono qui, e magari comprano formaggio, aiutano il territorio. Perché se uno compra, salvaguarda un ambiente. Perché io produco formaggio senza alcun impatto: non uso mangimi, mungo ancora a mano. Quindi aiuti chi mantiene il territorio in un certo modo. Oggi assistiamo all’abbandono, il bosco avanza e i pascoli sono sempre meno. Chi cura tutto questo territorio?»
E gli chiedo: «”Ma perché siete qui, cosa volete da me?” E allora parlo di tutto, ma c’è un filo conduttore tra tutti coloro che arrivano quassù a trovarmi: hanno capito che bisogna cambiare vita, vogliono cambiare vita».
Da tre anni ti sei «ritirato» in alpe, una scelta ancora più estrema, ancora più «Wild» come recita il nuovo marchio dell’azienda. La vita è quella dell’alpeggiatore, fatta ancora di sacrifici. E qui fai turismo, per così dire, estremo.
«Ospito cinque-sei persone alla volta. Ma da me non vengono per il ristorante. Io non cucino, mangio quello che mi offre l’alpeggio e lo condivido: formaggi, erbe. Ormai arrivano da tutta Italia. Negli ultimi giorni una coppia dall’Umbria, dal lago Trasimeno, poi da Verona, laureati, chef stellati, un po’ di tutto. Grazie ai social arrivano. E gli chiedo: «”Ma perché siete qui, cosa volete da me?” E allora parlo di tutto, ma c’è un filo conduttore tra tutti coloro che arrivano quassù a trovarmi: hanno capito che bisogna cambiare vita, vogliono cambiare vita».
In che senso vogliono cambiare vita? Cosa cercano nella montagna?
« C’è un grande desiderio di ritorno alla natura, alle origini, a un modo di vivere più sostenibile, rispettoso dell’ambiente ma anche di se stessi. Si parla del clima, dell’ambiente. Per esempio, arriva uno chef stellato: con lui raccolgo le erbe e poi mi chiede di cucinare insieme sulla stufa. Si chiama turismo “esperienziale”. Ma c’è chi vorrebbe fermarsi da me e lavorare. Evidentemente è un segno di qualcosa che sta anche cambiando. Qualcuno in città si accorge che questo stile di vita non va più bene».
Anche questo è turismo, estremo?
«Sì, ma – almeno per quanto mi riguarda – è il futuro: quest’estate ho portato piccoli gruppi di persone al Predù: si chiama così una sorta di grotta a un’ora di cammino dalla baita, in Val d’Inferno, sotto il pizzo del Tre Signori. Qui io faccio anche caseificazione. Un luogo straordinario. Tutti sono rimasti colpiti. C’è il desiderio di vivere queste esperienze».
«I giovani se ne vanno, vero, perché non trovano lavoro o servizi. Ma secondo me anche perché c’è povertà culturale. Io credo nell’inversione del sistema, loro forse non ci credono e se ne vanno. Ma i segnali ci sono, e sono anche queste persone che arrivano tutti i giorni da me: vogliono cambiare, ma servono capacità, conoscenza del territorio»
Parliamo di spopolamento della valle.
«Roba vecchia. I giovani se ne vanno, vero, perché non trovano lavoro o servizi. Ma secondo me anche perché c’è povertà culturale. Io credo nell’inversione del sistema, loro forse non ci credono e se ne vanno. Ma i segnali ci sono, e sono anche queste persone che arrivano tutti i giorni da me: vogliono cambiare, ma servono capacità, conoscenza del territorio. Se io avessi 30 anni investirei ancora qui, non certo giù».
All’azienda, a Lenna, negli ultimi anni sono arrivati vip, sportivi, calciatori, personaggi dello spettacolo.
«Io preferisco stare qua, il più possibile lontano dai riflettori. L’altro giorno è arrivata Michelle Hunziker, mi han detto di fare una foto con lei. No, grazie. Vorrà venire in alpeggio? Sì, ma niente pubblicità».
«La Cheese Valley è diventata patrimonio Unesco, dobbiamo lavorare su questo. Ma quello che sto dicendo anche agli amministratori è che noi, se vogliamo giocare la partita del turismo, dobbiamo giocare in Champions»
Sessant’anni, ma non certo stanco di progettare, di fare, di inventare ancora qualcosa di nuovo.
«Io e un amico stiamo portando avanti idee all’avanguardia, complesse, stiamo lavorando... Ho preso una casa del 1600 e devo ristrutturarla. La Cheese Valley è diventata patrimonio Unesco, dobbiamo lavorare su questo. Ma quello che sto dicendo anche agli amministratori è che noi, se vogliamo giocare la partita del turismo, dobbiamo giocare in Champions. Se no io non mi muovo neppure. Se dobbiamo fare la rivoluzione facciamo la rivoluzione, andiamo anche contro la politica. Se devo fare una baita super, che concili tradizione e tecnologia, la faccio. E deve essere una cosa davanti alla quale la gente... “capotterà” dalla bellezza. Magari è solo un sogno, ma almeno giochiamo in Champions. Se io “gioco” voglio che la mia valle, il mio territorio, competano con il mondo».
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