L’impresa degli ospedali bergamaschi
Guarite oltre seimila persone dal Covid

Ecco i numeri delle persone dimesse dopo aver combattuto il virus. I direttori sanitari: «In caso di eventuale seconda ondata saremo pronti».

Sulle cancellate fuori dagli ospedali bergamaschi gli striscioni stanno sbiadendo. E con loro sbiadisce la riconoscenza nei confronti di medici e infermieri, i destinatari dei «grazie» scritti dai bimbi su vecchie lenzuola. Da eroi a semplici dipendenti statali il passo è stato molto breve. Nemmeno il tempo di elaborare davvero cosa è successo in questa terra, la più colpita dall’epidemia. Sono morte migliaia di persone, sì. Le bare stipate, i mezzi militari, le lacrime.

Migliaia, però, sono anche le vite salvate grazie agli sforzi di chi ha affrontato il virus armato non solo di guanti e mascherine, ma di esperienza, capacità, voglia di lottare. Sono oltre seimila - per la precisione 6.300, e aumentano ogni giorno - i bergamaschi che sono entrati negli ospedali bergamaschi e ora sono nelle loro case, accanto ai loro cari. Adesso che il Covid-19 sembra aver allentato la presa, questi numeri (che non sono solo numeri) rendono giustizia al duro lavoro svolto in questi mesi.

Ci sono stati giorni in cui tutto sembrava perduto. «Chissà se ne usciremo» - diceva qualche medico, travolto dall’onda anomala di pazienti che pareva non finire mai. Poi qualcosa è cambiato. Un caso più fortunato. Un farmaco che funziona. I tentativi e la speranza. Il primo paziente dimesso, il secondo, il terzo. Senza dimenticare, purtroppo, le troppe persone che non ce l’hanno fatta.

Tra dimessi e trasferiti sono quasi duemila i bergamaschi che sono stati salvati dall’ospedale Papa Giovanni XXIII, che gestisce anche l’ospedale di San Giovanni Bianco. Circa 150 pazienti ora guariti sono passati dalla terapia intensiva, moltissimi intubati. Per alcuni è stato necessario ricorrere all’Ecmo, la circolazione extracorporea che consente di aumentare l’ossigenazione del sangue. Dice Fabio Pezzoli, direttore sanitario del Papa Giovanni, che «abbiamo messo in atto tutto quanto era possibile fare». Al pronto soccorso dell’ospedale sono arrivate più di tremila persone, oltre duemila sono state ricoverate e curate. «Purtroppo abbiamo avuto 434 deceduti, ma i dimessi sono stati oltre duemila. I morti sono sempre troppi. È stata un’esperienza devastante per tutti noi. Però devo dare atto del grande lavoro fatto». Un lavoro che continua, perché tutti i pazienti dimessi sono seguiti alla fiera di Bergamo. «Ci stiamo rendendo conto - continua Pezzoli - che il virus ha lasciato molte conseguenze a livello polmonare, cardiaco e spesso anche cerebrale. Continueremo a monitorare tutti».

Di tutte le persone che sono arrivate ai pronto soccorso degli ospedali di Treviglio e Romano di Lombardia, 2.300 sono guarite. Peter Assembergs, direttore generale dell’Asst Bergamo Ovest, ammette che «fanno più rumore i morti dei vivi. Grazie a uno sforzo immane sono più i vivi dei morti. La pandemia è stata un evento sciagurato, ma che ha permesso comunque la cura di migliaia di pazienti. E la loro guarigione». Più che un semplice ringraziamento Assembergs vorrebbe «un intervento da parte del Parlamento. Fino ad ora hanno approvato uno scudo per la Protezione civile e i dirigenti. Medici e infermieri, nonostante le difficoltà in cui si sono trovati ad operare, non sono ancora protetti».

I dati dell’Asst Bergamo Est, che gestisce gli ospedali di Alzano Lombardo, Seriate, Piario, Lovere, Gazzaniga e Calcinate dicono che sono 1.273 i pazienti dimessi dal 22 febbraio al 12 giugno, con il Bolognini di Seriate (412 dimessi) in testa. Mentre alla Casa di cura San Francesco sono 189 le persone guarite e alla Casa di cura Palazzolo 140. Per i direttori sanitari Silvia Bignamini e Alberto Imberti questi mesi hanno rappresentato «una situazione del tutto nuova. Abbiamo dovuto elaborare nuove procedure per adattarci rapidamente agli scenari di contagio che si sono rapidamente evoluti». Il ruolo delle Case di cura è stato fondamentale perché hanno «aiutato non solo l’ospedale Papa Giovanni XXIII, ma anche gli ospedali di Seriate, Alzano e Treviglio a ridurre l’impatto sulle proprie strutture già al massimo della capacità. Tutto ciò è stato possibile grazie all’instancabile lavoro di tutti, non solo medici, infermieri, ma anche personale di laboratorio e di radiologia, personale amministrativo, i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione e i loro collaboratori che hanno avuto un ruolo importante nella formazione degli operatori».

Tra policlinico San Marco di Zingonia e policlinico San Pietro di Ponte San Pietro sono quasi mille i pazienti dimessi. Il direttore sanitario del «San Pietro» Eleonora Botta spiega che «solo dal periodo pasquale ci siamo resi conto che cominciava la lenta fase di calo dell’epidemia. Era passata la fase acuta e iniziavamo a vedere i primi effetti positivi del lockdown». Dopo questi mesi di lavoro intenso gli ospedali sono pronti a quella che gli esperti chiamano «seconda ondata». «Ora i controlli sono sistematici. Tutti i pazienti in ingresso per interventi programmati o urgenze sono sottoposti a tampone».

Anche Humanitas Castelli e Gavazzeni, che hanno dimesso 438 pazienti, hanno iniziato un programma di «follow up». «Molti di loro non manifestano ulteriori necessità sanitarie - spiega il direttore sanitario Massimo Castoldi -, mentre altri devono essere valutati anche se per ora nessuno ha avuto bisogno dell’ossigenoterapia». Castoldi guarda ai prossimi mesi e parla di «armi affilate». «Confidiamo, senza sperare di usarle, che le nostre armi siano più affilate e precise rispetto alla prima ondata. Possiamo dire tante cose, ma in verità ci dimentichiamo che è stato un virus nuovo. Non sapevamo come affrontarlo, ora abbiamo imparato qualcosa in più».

All’istituto clinico Quarenghi di San Pellegrino Terme i guariti sono 114 sui 140 arrivati nella struttura. L’84%. «L’ultimo è stato dimesso l’altro ieri - spiega il direttore sanitario Daniele Bosone -. I pazienti sono arrivati da noi con sintomatologia acuta. Abbiamo affinato un protocollo riabilitativo, perché il quadro è articolato. Ne dovremo tener conto anche per i prossimi mesi». Sperando che l’autunno non riservi un nuovo enorme lavoro. In qualsiasi caso, gli ospedali bergamaschi sono pronti.

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