«I miei ultimi giorni, finalmente senza dolore»

LA TESTIMONIANZA . Mariateresa, malata di cancro, un calvario per ottenere l’assistenza domiciliare. «Cure palliative, diritto di tutti: ora sono serena».

«La vita è bella se non si soffre». Mariateresa lo scrive con fatica su un biglietto. È il suo canto d’amore all’esistenza ed è un grido di libertà al diritto di non soffrire. Ottenere l’attivazione dell’assistenza domiciliare e le cure palliative ha richiesto in questi ultimi mesi tutta la sua forza e quella della sua famiglia.

La battaglia con il cancro inizia 17 anni fa

Un tumore alla mammella e un intervento chirurgico. Poi una recidiva nel 2014 e la presa in carico da un team medico ospedaliero che, con visite, esami e terapie segue con attenzione il suo stato di salute.

Nel febbraio 2022 il medico oncologo suggerisce l’attivazione dell’Adi, l’Assistenza domiciliare integrata. Per Mariateresa, che abita in Valle Brembana, è un passaggio difficilissimo: deve metabolizzare e accettare il peggioramento della diagnosi e delle sue condizioni. Non sente per il momento indispensabile un aiuto esterno, visto che già ci sono il marito e le due figlie a darle una mano e a starle vicino. Nello scorso marzo sente però che qualcosa è cambiato. Si mette davanti allo specchio, il tumore è diventato visibile. «Ah vecchio mio! Quindi hai deciso di farti vedere!» dice con sagace ironia. Le cose stanno rapidamente cambiando e chiede al suo medico di base, su indicazione dell’oncologo, di attivare l’Adi. Niente da fare. Prescrive farmaci antiinfiammatori e antidolorifici e dice di non ritenere necessaria l’attivazione. Su invito di Mariateresa l’oncologo redige una richiesta specifica al medico con l’evoluzione della patologia e dello stato metastatico. Vedere nero su bianco, in un lungo dettaglio, tutto quello che sta avvenendo nel suo corpo è un ulteriore peso difficile da sopportare per Mariateresa, che però va avanti. Ma davanti a lei c’è purtroppo un muro.

A maggio si evidenzia un peggioramento e compare il dolore persistente e intenso. Inizia un periodo di vero e proprio calvario, con notti in bianco, dolore da affrontare a denti stretti. Da una parte l’oncologa che chiede di attivare l’assistenza, dall’altra un medico di base che non la ritiene necessaria. E in mezzo una famiglia che si sente ogni giorno sempre più impotente davanti ad una situazione che non sa come sbloccare.

Messaggi, mail, telefonate per poter ottenere quello che «è un diritto per la mamma e per i malati» dice la figlia. È il 23 giugno quando per la prima volta l’infermiera dell’Adi entra in casa ed accerta l’elevato stadio del dolore. Ma non c’è ancora alcuna attivazione per le cure palliative. La famiglia decide di richiedere l’intervento a domicilio di un medico palliatore in regime privato. Il dolore che per più di un mese ha devastato la vita della donna viene abbattuto. Il medico non chiede alcun compenso alla famiglia e l’unica strada percorribile a quel punto è l’autoattivazione che avviene in modo immediato.

«Ho pianto dalla gioia – racconta Mariateresa – perché qualcuno si era fidato di me e si era preso cura della mia vita. Sto vivendo settimane di benessere, anche se molto affaticata e con il bisogno di riposare, ma sono serena». Una serenità che le permette di trovare la forza per lanciare un appello al diritto alla dignità del malato. «Quello che è successo a me non deve più accadere a nessun malato. Il servizio esiste e permette a noi malati di vivere senza dolore quella che sappiamo essere l’ultima fase della nostra vita».

Parla dal letto che è stato sistemato nella zona giorno a piano terra di una casetta ristrutturata in mezzo ai boschi in montagna. Si sono trasferiti dal mese di giugno, cambio di residenza e anche cambio medico. «Ora il mio medico è una religiosa. Così nel servizio ho anche compresa l’assistenza spirituale».

La storia di Mariateresa

Parla della malattia con intelligente ironia. È stata maestra elementare per tutta una vita e dice che «ora la sua carriera continua nell’insegnare a come guardare la morte».

Si respira il gusto di una vita bella seduti attorno a quel letto, si parla, si sorride e si ride, ci si abbraccia e ci si stringe la mano. Una famiglia che insieme a Mariateresa vive questa fase intensa e profonda in cui i sentimenti si amplificano e ci si ama ancora di più. Il peggioramento della malattia sancisce anche quella che la donna chiama la sua «rivoluzione copernicana».

Vuole salutare tutti «perché le visite è meglio farle ai vivi che ai morti», invita a casa familiari e amici. Parla, a volte ascolta solamente e ricorda insieme a loro. Ha chiesto alle figlie di realizzare un video di saluto. Lei è seduta sulla porta della casa e davanti a lei i sei nipotini, le figlie e il marito. Si salutano con la mano, si mandano un bacio. E poi l’immagine di un lucernario a chiudere tutto, perché, ha spiegato ai nipotini «è da lassù che mi vedrete».

«La malattia devasta, sconvolge i progetti, ti mette davanti a te stessa in modo brutale – conclude prima di salutare e di riposare un po’ –, ma c’è la possibilità di poter togliere almeno il dolore che trasfigura il corpo e che non permette di pensare con lucidità. Voglio che le cure palliative siano conosciute da tutti e garantite sempre come un diritto per una qualità della vita giusta e dignitosa del malato e della famiglia. Ora sono serena. È la fine che volevo».

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