Cronaca / Valle Brembana
Giovedì 14 Novembre 2024
I ghiacciai arretrano, sulle Orobie tracce fossili di 280 milioni di anni fa - Foto e video
LA SCOPERTA. Le «camminate» di rettili e anfibi, scoperti da un’escursionista per caso. Poi lo studio e ora gli esiti, presentati al Museo di Storia naturale di Milano: il giacimento al confine con le nostre alte Valli.
Custodito dalle rocce nelle terre altissime delle Orobie per 280 milioni di anni, nei mesi scorsi, causa restringimento della superficie dei ghiacciai, è venuto alla luce e ha consentito una scoperta storicamente dirompente: sulle Orobie - appena di là dal confine geografico tra Bergamasca e provincia di Sondrio - è stato trovato un ricco sito paleontologico, che conserva orme di anfibi e rettili, ma anche piante, semi, impronte di pelle e persino gocce di pioggia fossilizzate.
Tra la zona di Punta Scais e il Pizzo Redorta
La scoperta, avvenuta quasi per caso, è avvenuta nel Comune di Piateda, in provincia di Sondrio, al confine con l’Alta Val Seriana e l’Alta Val Brembana, tra il territorio di Valbondione, con cui confina nella zona di Punta Scais e del Pizzo Redorta, ma anche con Carona, nella zona del Pizzo del Diavolo di Tenda e del Monte Aga.
La scoperta casuale
A imbattersi nella prima traccia fossile è stata un’escursionista di Lovero, in provincia di Sondrio, mentre percorreva un sentiero della Val d’Ambria, a 1.700 metri di quota. Da lei, Claudia Steffensen, è partito lo studio che è stato presentato nelle sale del Museo di Storia naturale di Milano.
A imbattersi nella prima traccia fossile è stata un’escursionista di Lovero, in provincia di Sondrio, mentre percorreva un sentiero della Val d’Ambria, a 1.700 metri di quota
L’escursionista ha raccontato infatti il ritrovamento all’amico fotografo, Elio Della Ferrera, che è andato sul posto a scattare alcune foto, inviate a Cristiano del Sasso, paleontologo del Museo di Storia naturale di Milano. Da qui gli studi di due specialisti in sedimentologia e icnologia – Ausonio Ronchi, dell’Università di Pavia, e Lorenzo Marchetti, del Museum für Naturkunde di Berlino – e il coinvolgimento di Parco delle Orobie valtellinesi e Soprintendenza competente.
La scoperta, avvenuta quasi per caso, è avvenuta nel Comune di Piateda, in provincia di Sondrio, al confine con l’Alta Val Seriana e l’Alta Val Brembana, tra il territorio di Valbondione, con cui confina nella zona di Punta Scais e del Pizzo Redorta, ma anche con Carona, nella zona del Pizzo del Diavolo di Tenda e del Monte Aga
I sopralluoghi iniziati nell’estate del 2023 hanno portato a mappare centinaia di tracce fossili, a quasi tremila metri di quota, proprio sulle pareti verticali del Pizzo del Diavolo di tenda, del Pizzo dell’Omo e del Pizzo Rondenino, ma anche negli accumuli di frana sottostanti.
La riduzione della neve ha favorito i ritrovamento
Perché siano venuti alla luce proprio ora è comprensibile, se si considera la riduzione della copertura di neve e ghiaccio dovuta al cambiamento climatico, che si sta facendo sentire anche alle quote più alte.
Le «camminate»
Sui massi stratificati – grandi anche qualche metro – sono state ritrovate orme di tetrapodi (rettili e anfibi) e invertebrati (insetti e artropodi). In molti casi le orme sono ancora allineate a formare delle piste, indizio che ha permesso la loro datazione: questo tipo di camminate avveniva infatti nel Permiano, l’ultimo periodo dell’era paleozoica, che va da 299 a 251 milioni di anni fa.
Vivevano dunque i dinosauri sulle nostre Orobie? La questione è stata chiarita da Cristiano Dal Sasso: «A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a due o tre metri di lunghezza». Notevole anche il fatto che su alcune superfici siano fossilizzate orme di almeno cinque diverse specie di animali, il che permetterà di effettuare accurate ricostruzioni paleoecologiche.
Come le orme di questi animali abbiano potuto fissarsi sulla pietra al punto da resistere per milioni di anni è stato spiegato da Ausonio Ronchi: «Le impronte sono state impresse quando queste arenarie e argilliti erano ancora sabbie e fanghi intrisi di acqua, ai margini di fiumi e laghi che periodicamente, secondo le stagioni, si prosciugavano. Il sole estivo, seccando quelle superfici, le indurì al punto tale che il ritorno di nuova acqua non cancellava le orme ma, anzi, le ricopriva di nuova argilla formando uno strato protettivo».
«A quell’epoca i dinosauri non esistevano ancora, ma gli autori delle orme più grandi qui ritrovate dovevano avere dimensioni comunque ragguardevoli: fino a due o tre metri di lunghezza»
Il «masso zero»
Il «masso zero», così chiamato perché è stato il primo fossile scoperto, è proprio una porzione di una riva di lago fossile, che conserva dettagli finissimi delle increspature prodotte da onde, su cui ha camminato un piccolo rettile, il Dromopus, che ha lasciato le orme di zampe e coda.
Il «masso zero», così chiamato perché è stato il primo fossile scoperto, è proprio una porzione di una riva di lago fossile, che conserva dettagli finissimi delle increspature prodotte da onde, su cui ha camminato un piccolo rettile
«La grana finissima dei sedimenti, ora pietrificati, ha permesso la conservazione di dettagli talvolta impressionanti, come le impronte dei polpastrelli e della pelle del ventre di alcuni animali – ha aggiunto Lorenzo Marchetti –. Forma e dimensioni delle tracce indicano una qualità di preservazione e una paleo-biodiversità notevole, probabilmente superiore a quella osservata in altri giacimenti della medesima età geologica nel settore orobico e bresciano». Oltre alle tracce animali, in Val d’Ambria, valle secondaria della Val Veniva, sono presenti - anche se più rari - fossili vegetali (fronde, frammenti di fusti e semi). Interessanti, secondo gli studiosi, anche le fratture di disseccamento del suolo, le increspature da moto ondoso o da corrente e le impronte di gocce di pioggia.
«Questo nuovo geosito può diventare un importante caso di studio e trasformarsi in una palestra per ricercatori e studenti, nonché in un caso virtuoso di valorizzazione del patrimonio paleontologico»
Il salvataggio dei primi fossili per via aerea è avvenuto lo scorso 21 ottobre: un’operazione a cui ne seguiranno probabilmente molte altre. «Il giacimento fossilifero scoperto in Val d’Ambria rappresenta una combinazione eccezionale di fattori geologici e paleontologici che deve essere indagata e tutelata – ha detto Stefano Rossi, della Soprintendenza –. Questo nuovo geosito può diventare un importante caso di studio e trasformarsi in una palestra per ricercatori e studenti, nonché in un caso virtuoso di valorizzazione del patrimonio paleontologico da attuare anche con il supporto di privati».
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