«Devo convivere con due malattie rare, ma non mi sento malata: il canto mi aiuta»

LA STORIA. Federica Arena è di Ambria, 55 anni, ha la sindrome di Chiari e la sclerosi multipla. La famiglia e l’impegno sociale.

«Coraggio - scrive Theodore Roosevelt - non vuol dire avere la forza di andare avanti, ma andare avanti anche quando non si ha nessuna forza». Il respiro di Federica Arena, 55 anni, casalinga di Ambria, da quando ha scoperto di avere la sindrome di Chiari e la sclerosi multipla, ha imparato a seguire il ritmo dei suoi passi, dei silenzi, del vento fra gli alberi: più lento, ampio e disteso, asseconda il suo cuore e la melodia dei canti che intona la domenica in chiesa.

Volontaria in parrocchia

È una volontaria della sua comunità parrocchiale, una di quelle persone sempre impegnate, che hanno il potere speciale di rendere il tempo «elastico», per farci stare tante attività diverse: dalla direzione del coro alla catechesi, dalle pulizie della chiesa alla preparazione del pranzo una volta alla settimana per i ragazzi dello «Spazio compiti» di Zogno. Non si risparmia, non si tira mai indietro, neanche quando ne avrebbe motivo: «Devo convivere con due malattie rare, ma non mi sento malata. Seguo le mie terapie, come fanno tanti altri. Mi ritengo fortunata, perché tutto sommato non mi sento malata. So che devo curarmi, come fanno tante altre persone anche per patologie diffuse come l’ipertensione».

Il ruolo della famiglia

Si è sempre occupata con gioia della sua famiglia: «Mio marito Agostino e io abbiamo due figli: Francesco, 33 anni, che ora vive a Botta di Sedrina, e Giacomo, 25 anni, che vive con noi, studia e lavora come impiegato. Ho sempre seguito la mia famiglia con attenzione e con gioia, un compito che ha lo stesso peso e dignità di un qualsiasi altro lavoro. Oltre a questo, anche il servizio alla comunità mi tiene molto occupata, è un impegno in cui spendo molte energie ed entusiasmo».

L’arma segreta è la voce

La sua arma segreta è la voce: «Sono l’ultima di cinque figli, cresciuta in una famiglia in cui la cultura, la musica e gli spettacoli occupavano una parte molto importante. I miei genitori ci hanno cresciuto con questa sensibilità, ci portavano spesso a teatro, al cinema, all’opera. Così la passione per il canto è cresciuta in me in modo naturale; l’ho sempre esercitata in modo particolare la domenica in chiesa, incoraggiata pian piano a farlacrescere. Mi hanno chiesto di interpretare parti da solista, cantare un salmo, intonare i canti quando mancava l’organista, così ho continuato a esercitarmi. Nel tempo ho affinato le mie capacità seguendo dei corsi».

La corale di Ambria

Quando aveva 25 anni è nata la corale di Ambria: «È un gruppo molto informale e semplice che si occupa dell’animazione liturgica accompagnando il canto con la chitarra. Negli anni la composizione è cambiata, non è stato sempre facile, alla fine ne ho preso in mano la guida quando il nostro maestro aveva deciso di smettere. Abbiamo tutti tra i 40 e i 50 anni, ci accompagna una chitarrista giovane. Mi piace moltissimo questa attività, che non considero fine a se stessa, ma come una forma di preghiera. Penso che valga la pena valorizzarla e portarla avanti. Unisce l’amore per la musica e la fede, ed è stata per me un sostegno importante anche nei momenti più difficili. A partire dal canto piano piano ho iniziato anche a impegnarmi in tutte le altre attività della mia comunità, in modo molto naturale. In una piccola parrocchia poche persone fanno parte spesso di diversi gruppi. Non è facile, perché ognuno ha i suoi impegni, e per questo dedico volentieri il tempo che ho a disposizione per dedicarmi a queste attività. Mi piace in particolare stare con i bambini, questi incontri mi riempiono la vita e la arricchiscono di senso».

Grazie alla fede e al sostegno di familiari, amici e parrocchiani, Federica è riuscita ad affrontare con uno sguardo sereno anche le difficoltà e i suoi problemi di salute: «Non ho mai vissuto la malattia come un peso. Certo, soprattutto all’inizio, non è stato facile affrontarla»

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I primi problemi nel 2012

«Secondo i medici aspettando avrei potuto rischiare la paralisi, non mi hanno dato alternative. È stato impegnativo, mi è rimasta una lunga cicatrice dalla testa alla base del collo e c’è voluto tempo per recuperare una buona mobilità»

I primi problemi si sono manifestati nel 2012: «Ho iniziato ad avere un dolore persistente al braccio, che peggiorava soprattutto durante la notte. In passato mi era capitato di avere problemi alla schiena, ma non gli avevo dato peso, considerandoli “normali” rispetto all’età e magari a qualche errore di postura. Facendo degli esami ho scoperto invece con sorpresa di avere la malattia di Chiari, una malattia congenita malformativa del sistema nervoso», che interessa il cervelletto, il tronco encefalico e la parte posteriore della scatola cranica. È caratterizzata dallo «scivolamento» di parti del cervelletto attraverso il foro che si trova tra il cranio e il canale spinale). Nel suo caso si è reso subito necessario un intervento chirurgico: «Secondo i medici aspettando avrei potuto rischiare la paralisi, non mi hanno dato alternative. È stato impegnativo, mi è rimasta una lunga cicatrice dalla testa alla base del collo e c’è voluto tempo per recuperare una buona mobilità».

Quando Federica ormai pensava di poter archiviare questo brutto periodo, purtroppo si è presentato un nuovo sintomo: «Ero tornata a casa dall’ospedale da poco più di un mese, e mi sono sentita di nuovo male: mi sentivo confusa, soffrivo di frequenti e intensi mal di testa. Mi hanno ricoverato e sono rimasta a lungo in ospedale, perché dagli esami risultava una macchia nel cervello di natura dubbia. La prima ipotesi è stata la peggiore: gli specialisti temevano che si trattasse di una lesione espansiva, quindi un tumore. Mi hanno prospettato una permanenza in ospedale di alcune settimane con l’idea poi di arrivare all’intervento. A seguito di terapie cortisoniche, però, quella macchia si era notevolmente ristretta, finché il giorno prima di operarmi mi era stato detto che non si trattava di un tumore, ma di un’ischemia cerebrale. Sono stata molto felice di non dover più affrontare questo secondo intervento, anche se poi ho dovuto fare i conti con le conseguenze di questo episodio: mi si è ristretto molto il campo visivo, non riuscivo più a leggere, la luce mi dava fastidio e facevo fatica a muovermi».

Sembrava che la situazione fosse meno preoccupante, invece per Federica è stato l’inizio di un periodo di sofferenza, fatica e incertezza: «Sono entrata e uscita dall’ospedale più volte, ho seguito terapie del dolore e tante sedute di riabilitazione, ho chiesto un consulto al Besta di Milano. Continuavo ad avere problemi ma nessuno riusciva a offrirmi una diagnosi certa e completa, nonostante i continui e numerosi approfondimenti».

«Quando mi hanno comunicato la diagnosi ero quasi contenta per aver dato un nome al disagio e ai sintomi invalidanti che avevo sperimentato»

La sua vita proseguiva, senza rinunciare alla sua routine, seppure in uno stato di precarietà per i tanti problemi di salute. A un certo punto la situazione è degenerata: «Una mattina al risveglio mi sono accorta di avere gli arti inferiori paralizzati. Dopo un confronto rapido con uno specialista del Besta che mi seguiva, sono andata al pronto soccorso dell’ospedale Papa Giovanni XXIII, dove mi hanno ricoverata. Pochi giorni dopo è arrivata la diagnosi di sclerosi multipla. Mi sono resa quindi conto di avere a che fare n on con una, ma con ben due malattie». Grazie alle terapie pian piano si è rimessa in piedi: «L’esordio della sclerosi probabilmente è stato particolarmente aggressivo anche a causa dell’intervento che avevo subito in precedenza. Quando mi hanno comunicato la diagnosi ero quasi contenta per aver dato un nome al disagio e ai sintomi invalidanti che avevo sperimentato». Ha reagito bene alle terapie: «Ho recuperato la mobilità, e con essa l’autonomia negli spostamenti, anche se purtroppo mi hanno revocato la patente. Mi hanno regalato una bici a pedalata assistita, se devo spostarmi o fare spese mi accompagnano marito o figli, per il resto se posso e devo andare vicino casa, mi sposto a piedi».

La terapia immunomodulante

Dal 2014 Federica segue una terapia immunomodulante: «Da allora sono riuscita a ritornare alla mia vita di sempre. Mi ritengo fortunata, continuo ad assumere i miei farmaci come fanno in tanti, come chi prende le pastiglie per l’ipertensione. La mia vita va avanti, e preferisco non soffermarmi sulla condizione della malattia. Se devo affrontare un compito impegnativo non mi tiro indietro. Non dico mai a priori che non posso o non riesco».

«Continuo a curarmi, la malattia mi ha mostrato l’importanza di prendermi cura di me stessa. Anche situazioni che sembrano del tutto negative a volte riservano belle sorprese»

Il ruolo dell’attività fisica

Ha scoperto che l’attività fisica l’aiuta molto: «Oltre al ciclo di sedute di fisioterapia una volta all’anno, seguo anche dei corsi di ginnastica tre volte alla settimana. Questo mi ha permesso non solo di non peggiorare, ma di migliorare addirittura le mie condizioni fisiche dal 2013 a oggi. Continuo a curarmi, la malattia mi ha mostrato l’importanza di prendermi cura di me stessa. Anche situazioni che sembrano del tutto negative a volte riservano belle sorprese. Ho imparato anche che può essere bello e importante chiedere aiuto, i miei familiari ci sono sempre per me».

. «Mi fa piacere, per esempio, parlare con qualcuno che è nelle mie stesse condizioni e affronta fatiche simili. Avere un contatto con l’Aism permette di ottenere sostegno reciproco, amicizia, scambio di informazioni»

Il ruolo dell’Aism

L’incontro con l’associazione Aism (Associazione italiana sclerosi multipla) è avvenuto solo di recente tramite amici: «Ho sempre partecipato alle iniziative di beneficenza, perché credo moltissimo nella ricerca e nella necessità di sostenerla. Ora però apprezzo anche altri aspetti dell’associazione. Mi fa piacere, per esempio, parlare con qualcuno che è nelle mie stesse condizioni e affronta fatiche simili. Avere un contatto con l’Aism permette di ottenere sostegno reciproco, amicizia, scambio di informazioni. Si ha sempre bisogno di condividere e da parte mia cerco di trasmettere alle persone che hanno appena avuto una diagnosi uno sguardo ottimista e reattivo, con l’invito a non arrendersi mai, perché solo così si può convivere con la malattia, che sia una o addirittura due come è capitato a me».

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