Con il tracciamento fatto a mano
Santa Croce ha battuto il Covid

Dal dispensario farmaceutico della piccola frazione di San Pellegrino Terme, Adriano Avogadro ha realizzato un contact tracing per tutto il periodo dell’epidemia.

A vederlo nel suo cubo quattro metri per quattro, accerchiato da colorate scatolette di farmaci, Adriano Avogadro sembra essere la persona più felice del mondo. Il «dispensario farmaceutico», nome d’altri tempi, è casa sua. Da lì, dall’ultimo baluardo di servizio pubblico di un piccolo paese incastonato nelle montagne bergamasche, ha combattuto il coronavirus con l’aiuto della tecnologia. Santa Croce, frazione di San Pellegrino Terme, in Val Brembana - otto chilometri di salite e tornanti dal fondovalle - è un angolo remoto nella provincia più colpita dal coronavirus.

Chissà come ha fatto, il Covid-19, ad arrivare quassù. Adriano se l’è chiesto nei primi giorni di emergenza, poi ha avuto poco tempo per pensare. 67 anni, due figli e cinque nipoti, presidente dell’associazione Santa Croce, da quando è pensione ha aperto il dispensario, punto di riferimento dei circa 400 abitanti della frazione. Ha una voce tenue, ancor più ovattata con la mascherina, modi gentili. È un po’ farmacista, un po’ sindaco, un po’ il babbo di tutti, anche dei concittadini più anziani.

Certo, a vederlo così, nessuno potrebbe sospettare che sia un fine conoscitore delle dinamiche tech e social di WhatsApp. Eppure è proprio grazie al servizio di messaggistica che Santa Croce ha affrontato l’epidemia come nessun altro paese. Prima delle 3T, prima di Immuni, Adriano ha creato un servizio di contact tracing. «Un po’ casereccio» - dice. E in effetti non c’è aggettivo migliore per descriverlo. Perché qui il tracciamento è stato fatto a mano, ogni sera, riga su riga di un excel in cui sono finiti tutti gli abitanti della frazione. «Casereccio», sì, ma efficace.

Ha capito che non poteva starsene inerme a inizio marzo, quando molte persone iniziano a chiamarlo, spaventate. Febbre, alta, anomala. Tamponi, nemmeno l’ombra. L’8 marzo il paziente uno di Santa Croce viene ricoverato in ospedale. Non ce la farà, così come non ce la faranno altre quattro persone ammalate quando ancora non si sapeva nulla del Covid e le mascherine erano introvabili. «Il virus, l’8 marzo, era arrivato anche qui da noi». Sembra l’incipit di una brutta storia. Una tragedia. Così è stata, tranne forse per il finale, che Adriano scrive con l’aiuto di tutti. «Nel giro di poco tempo ho capito che bisognava prendere in mano la situazione. Dovevamo avvisare tutti coloro che erano stati in contatto con i pazienti positivi».

Uno dice - ok, si conoscono tutti - li può chiamare. Invece Adriano mette su un gruppo WhatsApp. Intuizione semplice e geniale. «Avevo già un’ottantina di numeri, ma siamo passati a 180 in pochissimo tempo. Quasi tutte le famiglie della frazione». Ogni partecipante comunica, privatamente, le condizioni di salute di tutti i famigliari. Oggi febbre 37,3°, poco appetito, mal di testa. La svolta arriva coi saturimetri. Cinque - non molti - ma custoditi da volontari che vanno di casa a misurare l’ossigenazione nel sangue. «Ci siamo posti come limite l’88. Sotto l’88 consigliavamo di chiamare la guardia medica, sempre d’accordo con il medico di famiglia».

È Adriano a segnare tutte le informazioni nell’excel. La sera, più atteso della conferenza stampa delle 18, il messaggio nel gruppo: «Ci sono ancora 20 persone con la febbre. 15. 10. Fino a zero». Così, ogni giorno, dall’inizio dell’emergenza. Fin dalle prime avvisaglie del virus gli abitanti del paese, con l’aiuto di Adriano, contattano il medico, si isolano e quindi non trasmettono il male. Proprio come dovrebbe fare l’app Immuni. Tracing e Treating, dicono gli epidemiologici.

Il successo si materializza nel grafico dei sintomi. Dopo il picco di metà marzo, come ovunque in Bergamasca, qui la curva non è una curva bensì una retta verso il basso. Febbre e tosse, grazie al contact tracing fatto in casa e all’isolamento, si abbattono nei primi giorni di aprile. «Un’intuizione, sì, grazie a cui siamo riusciti a seguire tutti i pazienti in modo efficace». E non solo, perché in poco tempo il gruppo si trasforma nella farmacia virtuale e anche nella chiesa virtuale. Il parroco, don Sergio Bonacquisti, lì posta il link della Messa trasmessa ogni giorno via streaming. Lì ci si augura pronta guarigione, si chiedono favori o ci si scambia un semplice saluto per esorcizzare la paura. «Alla fine però ho chiuso il gruppo perché ormai l’emergenza era superata e non era più necessario continuare. È servito anche a dare speranza, perché lì ogni giorno vedevamo i miglioramenti di tutto il paese». Privacy, protocolli, Gdpr. Macché. «Ecco, forse non ho fatto proprio tutto all’interno dei regolamenti - dice Adriano -. Però il gruppo è servito a confortare molti che erano preoccupati, spesso disperati. Anche io avevo paura, per il virus e per la responsabilità enorme che mi sono accollato. La comunità ha avuto fiducia in me e io non posso che essere grato a tutti». Il vero segreto, uno solo. «Qui, in mezzo ai monti, siamo ancora una grande famiglia».

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