Cronaca / Val Calepio e Sebino
Martedì 17 Dicembre 2024
Un collega di Ottavia Piana: «Ero lì, la roccia le è ceduta sotto i piedi ed è precipitata»
LA TESTIMONIANZA. Giorgio Pannuzzo, di Seriate, ha trascorso la prima notte a fianco della 32enne ferita. Il dottor Rino Bregani: «Era demoralizzata».
Come sta Ottavia? È una domanda che risuona a ogni ora e in ogni angolo del campo base che il Corpo nazionale del Soccorso alpino e speleologico, coadiuvato dai Vigili del fuoco di Bergamo e Lovere, ha allestito al campo sportivo di Fonteno a partire da sabato sera, quando due degli speleologi che erano scesi a mappare alcune vie inesplorate nel sottosuolo dell’Abisso Bueno Fonteno sono risaliti in superficie (erano le 22,20 circa) per chiedere aiuto a seguito dell’incidente avvenuto intorno alle 18 alla collega Ottavia Piana. Tende e mezzi del Cnsas sono ricoverati sulla sabbia del campo da calcio del piccolo paese che si affaccia sulle acque del lago d’Iseo. Negli spazi del Comune e della Protezione civile ci sono servizi igienici, alcune stanze calde dove riprendere le forze e rifocillarsi con un piatto caldo di pasta al pomodoro. Il tè caldo non manca mai, specie quando dai fuoristrada gialli e rossi degli Speleo scendono coloro che hanno da poco «smontato» dal turno in grotta. Le tute, rosse alla partenza, sono coperte di fango. E in alcuni punti ancora bagnate, perché nell’Abisso Bueno Fonteno l’acqua non manca. Residui di rocce calcaree e argillose coprono da capo a piedi i volontari che, pronti a fare la loro parte, si danno il cambio, instancabili nonostante la fatica dipinta sul volto impolverato.
«Sono tornato per dare una mano, al bisogno – spiega Giorgio Pannuzzo, siracusano d’origine, bergamasco d’adozione dal 1989 –. Sono sia nella squadra dei disostruttori che volontario del Cnsas. Nel caso mi dovessero chiamare, in macchina ho tutto, dalle sacche ai trapani». È arrivato a Fonteno da Seriate, dove è tornato per riposare qualche ora (anche se ammette di non essere riuscito a dormire molto) dopo essere uscito dall’Abisso domenica nel tardo pomeriggio: vi aveva messo piede sabato mattina intorno alle 8, una trentina di ore prima. Era tra gli otto speleologi che si erano organizzati insieme a Ottavia Piana per topografare e mappare tre aree di un nuovo ramo di gallerie e grotte che parte dopo il sifone denominato «Nonostante» e che poi prosegue quasi parallelo a un tratto di cunicoli e antri già mappati. Da qui l’idea di chiamarlo, anche se non è ancora ufficiale, «Universi paralleli».
«Quando è caduta era con altri due compagni di esplorazione in una zona più o meno orizzontale, in leggera salita: non avevano bisogno di corde. Il problema è che questa grotta, in alcuni punti, è un po’ friabile»
«Ero insieme ad altri due ragazzi, tra cui Samuele Pendesini, di Ponte San Pietro – racconta –. Siccome nove persone sono troppe per stare in un unico punto, ci siamo divisi in tre squadre. Ottavia era da una parte, io da un’altra. Quando è caduta era con altri due compagni di esplorazione in una zona più o meno orizzontale, in leggera salita: non avevano bisogno di corde. Il problema è che questa grotta, in alcuni punti, è un po’ friabile: bisogna stare attenti perché la roccia calcarea, con inclusioni di selce, può restarti in mano. In questo caso si sono unite due fatalità: chi era con lei mi ha raccontato che è ceduto un pezzo abbastanza grande, su cui lei era appoggiata con i piedi, ed è precipitata per quasi sei metri, cadendo all’indietro». Una concatenazione di cause impossibili da prevedere che, secondo lo speleologo di casa a Seriate, hanno portato alla situazione attuale.
«Ha sofferto – ammette –. Il nostro compito era di tenerla al caldo e di rassicurarla. L’abbiamo coperta con i teli termici e i piumini che avevamo, una persona si è sdraiata sotto di lei in modo che non poggiasse sulla roccia fredda»
«Speleologa seria, rigorosa e affidabile»
«Conosco Ottavia da anni, è una persona e un’istruttrice speleologa seria, rigorosa e affidabile, molto preparata – ci tiene a sottolineare, non senza mascherare l’emozione al pensiero che l’amica si trova, ancora una volta ferita, da quasi tre giorni all’interno dell’Abisso –. Quando ci hanno avvisato dell’incidente che aveva avuto l’abbiamo raggiunta e le siamo stati vicino. Ma nel frattempo ci siamo anche dati da fare per cominciare a fissare moschettoni e corde alle pareti, in attesa dell’arrivo delle prime squadre del soccorso». Le prime ore dalla caduta sono state le più difficili e dolorose per la 32enne. Ma chi era con lei ha cercato di assisterla con i mezzi che aveva a disposizione e di supportarla a livello psicologico e morale, per tenerla tranquilla. «Ha sofferto – ammette –. Il nostro compito era di tenerla al caldo e di rassicurarla. L’abbiamo coperta con i teli termici e i piumini che avevamo, una persona si è sdraiata sotto di lei in modo che non poggiasse sulla roccia fredda».
Mentre Giorgio Pannuzzo ripercorre quei lunghissimi momenti nel sottosuolo al fianco di Ottavia, in attesa dei primi soccorsi e dell’equipe medica che la stabilizzasse, al campo base la porta del furgone del Cnsas che tiene i contatti radio con l’interno della grotta si apre e si chiude, si apre e si chiude. Il cavo per il collegamento telefonico, lungo quattro chilometri, è stato steso durante la giornata di domenica. E da quel momento medico e infermiere in grotta mandano report cadenzati al mondo che sta al di fuori dell’Abisso. Ottavia che è stabile, la barella che si sposta, centimetro dopo centimetro, in una lenta e difficile risalita.
«Abbiamo subito fatto un primo bilancio delle lesioni, iniziando i trattamenti reidratanti e antidolorifici. Parla poco, probabilmente perché sa cosa la aspetta, visto quanto le è capitato lo scorso anno, anche se questa volta ha traumi in quattro punti diversi tra busto, volto e arti inferiori. Sa che questi giorni sono estremamente faticosi e debilitanti, sia dal punto di vista fisico che psicologico»
Il medico: era sofferente
Al campo base, stravolto dopo il lavoro in grotta (è uscito alle 2 di lunedì 16 dicembre dopo più di venti ore), anche il dottor Rino Bregani, del Policlinico di Milano. Lui è stato uno dei primi medici a raggiungere Ottavia domenica mattina. «L’abbiamo trovata sofferente, spaventata e preoccupata – racconta –. Abbiamo subito fatto un primo bilancio delle lesioni, iniziando i trattamenti reidratanti e antidolorifici. Parla poco, probabilmente perché sa cosa la aspetta, visto quanto le è capitato lo scorso anno, anche se questa volta ha traumi in quattro punti diversi tra busto, volto e arti inferiori. Sa che questi giorni sono estremamente faticosi e debilitanti, sia dal punto di vista fisico che psicologico». Grazie ai farmaci, che in parte leniscono il dolore della 32enne, le squadre a ieri sera erano riuscite a muovere la barella di oltre un chilometro e mezzo, superando il punto più critico, cioè quello più stretto. Ma il lavoro è ancora tanto e lascia il segno anche sui volontari: «Si esce stanchissimi, con la nausea e i crampi, si fatica a dormire, a bere e mangiare – conclude il medico – È una enorme fatica operare in ambienti così ostili. Ottavia era un po’ demoralizzata, forse anche per le possibili complicanze cui può andare incontro: parla poco, ma mi ha colpito quando ha detto che non sarebbe più andata in grotta». La speranza di chi l’ha accompagnata nell’ultima spedizione, invece, è che «non lasci, perché altrimenti perderemmo una speleologa molto valida».
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