Tavernola, le guarnizioni nel lago rilasciano amianto

SEBINO. Le analisi effettuate sui campioni sommersi. Plastica mista a gomma e amiantite: va rimosso tutto.

Gli scarti della lavorazione della gomma che si trovano sommersi ai piedi del Corno di Tavernola Bergamasca tra i 10 e i 50 metri di profondità stanno rilasciando metalli, micro e nano-plastiche e amianto. È quanto emerge dal rapporto stilato dall’Arpa a seguito dei campionamenti effettuati nel luglio scorso. Meglio rimuoverli, quindi, o lasciarli dove sono? Questa la domanda che, fin dalla scoperta della «montagna» di gomma sommersa si erano fatti sia i cittadini che le associazioni ambientaliste e le autorità locali. Ora una risposta sembrerebbe essere arrivata e anche Regione Lombardia si impegnerà, come confermato dall’assessore all’Ambiente e clima Giorgio Maione, per reperire i fondi necessari a finanziare le operazioni: «La soluzione ideale è la rimozione, ma servono più di due milioni di euro».

Regione Lombardia, dopo aver costituito un gruppo di lavoro dedicato coinvolgendo l’Autorità di bacino lacuale, gli esperti dell’Arpa, del Cnr Ismar e del Cnr Irsa e i carabinieri del Nucleo sommozzatori di Genova, ha già investito 85mila euro per redigere il Piano di indagine ambientale di cui a breve sarà disponibile il rapporto finale.

Lavoro puntuale

«Su Tavernola Bergamasca stiamo facendo un lavoro puntuale – spiega l’assessore Maione –. Stiamo valutando diverse azioni gestionali, dal recupero naturale controllato, al “capping”, fino all’asportazione del materiale accumulato. La rimozione dei rifiuti – prosegue l’assessore regionale – è la strada che vogliamo intraprendere per la salvaguardia complessiva dell’ecosistema, anche su indicazione del gruppo di lavoro istituito appositamente per valutare la situazione».

La valutazione economica

Le prime stime, prosegue Maione, «indicano il costo dell’operazione in circa due milioni di euro, ma stiamo approfondendo la valutazione economica dell’intervento. Apriremo un dialogo con il ministero per trovare le risorse necessarie. Una cosa è chiara: vogliamo risolvere una situazione bloccata dagli Anni Settanta».

Due aree di accumulo: una da circa 450 metri quadrati più superficiale, tra i 10 e i 40 metri di profondità, e un’altra più piccola da circa 150 metri quadrati a una batimetria di circa 50 metri

Al gruppo di tecnici incaricati del campionamento è stato chiesto di formulare un Piano di indagine ambientale completo, articolato in quattro azioni: dalla mappatura della distribuzione spaziale del materiale di scarto alla caratterizzazione chimica dei sedimenti e dei materiali raccolti, dalla caratterizzazione eco-tossicologica alla valutazione del rischio, fino alla produzione di indicazioni gestionali.

Cosa emerge dal campionamento eseguito? Le analisi sui campioni prelevati a luglio 2023 hanno portato innanzitutto all’individuazione di due aree di accumulo: una da circa 450 metri quadrati più superficiale, tra i 10 e i 40 metri di profondità, e un’altra più piccola da circa 150 metri quadrati a una batimetria di circa 50 metri.

Materiale non inerte

Il Piano ha consentito di caratterizzare in modo esaustivo non solo l’entità dell’accumulo, ma anche il tipo di materiali costituenti i rifiuti, il rilascio di microinquinanti e amianto, la loro tossicità e lo stato di contaminazione dei sedimenti. Non si tratta, come ipotizzato inizialmente, di inerti: le analisi chimiche effettuate sui due cumuli, costituiti da scarti di guarnizioni industriali, indicano la presenza di due tipologie generali di materiali: plastica mista a gomma e amiantite che – è stato rilevato – rilasciano metalli, micro e nano-plastiche e amianto sia nei sedimenti presenti sul cumulo di rifiuti sia nelle immediate vicinanze, nonché nella colonna d’acqua sovrastante.

«Le acque del Sebino sono di qualità ottima dal punto di vista microbiologico, e anche la scorsa estate sono risultate sempre balneabili e classificate come eccellenti in tutti i 48 punti analizzati costantemente dall’Ats – conclude Maione –. Vogliamo comunque individuare le più opportune modalità di gestione e minimizzare l’impatto ambientale».

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