Delitto di Costa Volpino, «Sara e Deep sapevano di essere vicini di casa, nulla di più»

LE TESTIMONIANZE. Il dolore degli amici, il silenzio della famiglia di Sara. I genitori del giovane in carcere: «Siamo disperati anche noi».

Sara frequentava la classe quinta dell’istituto socio sanitario all’Ivan Piana di Lovere, la stessa scuola di Alex Petenzi: è lui a chiarire che tra la diciottenne e il suo assassino, Jashandeep Badhan, 19 anni, in carcere da sabato sera, non ci fossero particolari legami, né di amicizia né altro: «Sara e Deep sapevano di abitare lo stesso condominio e per questo motivo si salutavano, ma niente di più. Gli amici di Sara eravamo noi, quelli che frequentavano quasi tutti i giorni la sua casa: non era una che usciva volentieri, preferiva che fossimo noi ad andare da lei. Cosa sia successo ancora non lo sappiamo: è per noi un fatto imprevedibile per il quale non c’è spiegazione. Il fatto di non riaverla più, spacca il cuore a tutti noi».

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Un amico: «Cosa sia successo ancora non lo sappiamo: è per noi un fatto imprevedibile per il quale non c’è spiegazione. Il fatto di non riaverla più, spacca il cuore a tutti noi»

Telefono spento dell’amica che era con Sara

Gli amici del gruppo di Sara hanno provato a contattare l’amica che venerdì sera ha trascorso la serata con lei «ma il telefono è spento – aggiunge Alex – e non riusciamo a parlarle in nessun modo. Sappiamo che è a casa, vorremmo esserle vicini, perché quello che ha visto è una tragedia che non dimenticherà mai: vorremmo invece poter andare a trovarla, per provare a confortarla ». Quando c’è da ricordare Sara, nella voce di Alex arriva una punta di commozione: «Era una ragazza assolutamente pulita, che si preoccupava anche troppo per cose che erano forse banali, però era felice nonostante la vita con lei non sia stata gentile…».

Quando la mamma lavorava, Sara stava sempre dai nonni materni, che abitano in fondo a via Wortley, poco oltre il distributore di bibite dove l’amica di Sara venerdì notte voleva comprare una lattina, ma dove non sarebbe mai arrivata. «Mi sono accorta di non avere le monetine in tasca» avrebbe raccontato e ripetuto sia venerdì notte che sabato in caserma. La nonna apre la porta, ma ai cronisti chiede di essere lasciata tranquilla: alle sue spalle, sulla parete in fondo al corridoio, appaiono le foto della nipote, ma è un attimo, la porta si richiude. La porta di casa dei nonni paterni, vicino allo stabilimento della Tenaris, non si apre neanche: al citofono una voce di donna dice che non se la sentono di parlare.

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«Siamo disperati anche noi»

Una donna che vive nel condominio di fronte a quello in cui si è consumato la tragedia rivolge un pensiero ai genitori dell’assassino: «Gran lavoratori, facevano solo quello per tirare su i loro figli: avevano mandato a scuola anche Jashandeep Badhan, che aveva iniziato a lavorare come elettricista». Anche la porta di casa della famiglia indiana rimane chiusa. La mamma, di là, si lascia andare: «Mio figlio era stato malato, prendeva delle medicine, era ancora in cura. Adesso lasciateci in pace. Sono due giorni che non mangiamo e non dormiamo, siamo disperati anche noi».

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