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Piccole imprese: ecco come sviluppare il proprio business in Africa

Si può far crescere la propria azienda contribuendo alla creazione di posti di lavoro e di ricchezza localmente.

Lettura 12 min.

Premessa
Un continente di opportunità
L’imperativo sostenibilità
Cinque tendenze da seguire:
L’esperienza: E4Impact Foundation
Un approccio cambiato
Una rete da far crescere
Un valore condiviso
Checklist

La responsabilità sociale passa dai Paesi in via di sviluppo e diventa un’occasione di crescita reciproca. Questo è un altro degli elementi interessanti, uno sguardo sul futuro che offre l’impegno sulla strada della Csr. Impegno che, come abbiamo visto nei precedenti approfondimenti, prevede una strategia precisa e coinvolgente. Persino misurabile.

Gli esperti dell’Alta Scuola Impresa e Società dell’Università Cattolica in questo caso ci conducono in Africa. Facendoci scoprire miti da sfatare, opportunità e tutti i dettagli per poter avviare progetti che permettano di far crescere il proprio business e allo stesso modo di aiutare l’economia locale a svilupparsi in modo equo.

Un continente di opportunità

Quante sono le imprese africane a fatturare più di un miliardo di dollari? Se si ponesse questa domanda a degli studenti in un’aula universitaria, risponderebbero con numeri particolarmente bassi. In verità ci sono oltre 400 aziende di queste dimensioni. Per di più le imprese che operano nel settore delle risorse si attestano attorno al 30%: ci sono dunque numerose grandi imprese nei comparti della manifattura e dei servizi, imprese che stanno crescendo, spesso a due cifre.

Questo ci dice quanto normalmente distorta – e sottostimata – sia la percezione che in Europa, e più specificamente in Italia, si ha dell’Africa.

È vero che persistono dati allarmanti. Oltre all’instabilità politica e al numero di avvicendamenti al potere assai frequenti (anche se, in verità, mediamente meno cruenti rispetto al passato), esaminando il continente africano ci si imbatte in numeri che manifestano una eccezionale necessità di sviluppo: il 35% della popolazione (oltre 400 milioni) non ha ancora accesso all’energia, una percentuale simile non dispone di acqua potabile, quasi il 70% non dispone di impianti igienici adeguati, il 45% delle strade non è ancora asfaltato, le infrastrutture sono carenti.

Del resto, è pur vero che oltre il 90% della popolazione dispone di un cellulare e che, se abbiniamo connessione internet a piccoli impianti di energia solare che consentono la ricarica degli apparecchi telefonici, anche il più piccolo villaggio è sottratto da quell’isolamento che lo aveva caratterizzato fin dai tempi più remoti.

 

In sintesi, pur consapevoli dei grandi problemi, in Africa le condizioni per fare business ci sono. E ci sono quanto più pensiamo che i problemi appena sottolineati, se osservati dal punto di vista delle imprese, si presentano come sterminate opportunità di sviluppo della attività imprenditoriali.

L’imperativo sostenibilità

Ma, prima di proseguire, occorre fissare due paletti, che riconducono con chiarezza il tema dell’Africa con il filo che unisce la serie di articoli in cui questo contributo si colloca.

Il primo: sarebbe disastroso pensare a una nuova colonizzazione dell’Africa, questa volta in senso meramente economico e non anche politico. E questo avverrebbe se l’azione delle imprese europee non seguisse i canoni della sostenibilità: sostenibilità ambientale, perché fino a questo punto troppe multinazionali hanno operato sottraendo risorse naturali e ledendo la vivibilità e la fertilità dei territori in cui operano; sostenibilità sociale, perché vanno salvaguardate e, ancor più, promosse le condizioni dei lavoratori (a cominciare da donne e bambini), le norme di sicurezza, il giusto salario, la tutela della maternità e, al contempo, le condizioni di vita delle comunità in cui i lavoratori sono radicati.

Il secondo paletto riguarda il fattore partnership.

Sempre più è necessario che le imprese occidentali (e noi pensiamo in particolare alle italiane) non si limitino a trasferire in Africa le proprie combinazioni produttive, ma stringano legami durevoli con operatori locali.

Anche perché, come abbiamo visto inizialmente, imprese africane sufficientemente strutturate non mancano: al di là delle grandi a cui si è accennato in apertura, stanno fiorendo in Africa piccole e medie imprese che lasciano alle spalle la lunga stagione dell’economia informale e si immettono nella via della innovazione e della produttività, a cui si accompagna la crescita dimensionale e l’espansione geografica, che sempre più facilmente supera i confini nazionali.

Cinque tendenze da seguire

Per meglio comprendere quanto il contesto africano possa essere favorevole all’azione delle imprese italiane, è utile ricorrere a uno studio, recentemente pubblicato da Harvard Business Review Press, che prende il nome di ”Africa’s Business Revolution”. In esso sono descritti i cinque megatrend all’origine delle grandi opportunità di business in Africa.

Vediamole sinteticamente:

  • L’urbanizzazione. Se essa porta con sé il dramma della povertà e una crescente disparità di condizioni di vita, è anche vero che le megalopoli africane presentano enormi bisogni insoddisfatti che si accompagnano a un crescente potere di spesa
  • Le opportunità di industrializzazione. Sullo sviluppo dell’industria manifatturiera sta puntando un crescente numero di economia africane. Esso è visto innanzitutto come la condizione imprescindibile per accrescere la capacità di soddisfare le esigenze del mercato interno. Inoltre costituisce lo strumento per migliorare la bilancia commerciale, sostituendo gradualmente l’esportazione di materie prime con quelle di prodotti a maggior valore aggiunto
  • Il gap di infrastrutture. Il fabbisogno di infrastrutture è vasto e variegato. Va da quelle più di base come l’elettricità e l’acqua, ai trasporti, siano essi stradali, ferroviari o marittimi. A ciò si aggiungono le infrastrutture digitali, per cui si va dal grande progetto di una banda larga che costeggi tutto il continente allo sviluppo di reti interne ai Paesi, legate tra loro
  • La straordinaria abbondanza di risorse naturali. Si fa riferimento, in particolare, ad agricoltura, miniere, oil and gas. Per quanto riguarda la prima, è noto che l’Africa dispone di oltre il 60% della terra arabile non utilizzata al mondo. Se a ciò si aggiunge il potenziale di sviluppo della produttività insito nelle attività agricole già in essere, si comprende facilmente come carenza di cibo potrebbe essere superata ove si abbinassero politiche pubbliche efficaci e un’imprenditorialità diffusa capace di attingere alle tecnologie, avanzate ma anche solo di livello medio, disponibili a livello globale
  • La rapida adozione di tecnologie mobile e digitali. Già abbiamo visto quanto il cellulare sia diffuso nel continente. È questo il motivo, combinato alla scarsa bancabilità di una larga fetta della popolazione, per cui alcuni Paesi africani, a cominciare dal Kenya, hanno la leadership mondiale nel mobile money.

Se prendiamo in considerazione i cinque megatrend, è facile comprendere come essi rappresentino altrettante opportunità per le imprese italiane.
Ciò vale certamente per quelle di grandi dimensioni: quelle impegnate nella realizzazione di infrastrutture fisiche (strade, ferrovie), quelle che si dedicano alle reti digitali (basti pensare all’importanza della diffusione della connessione nelle slam), le imprese del settore energetico, tanto nelle forme tradizionali (oil and gas), tanto nelle soluzioni rinnovabili (solare ed eolico); e poi le imprese dei settori tipicamente italiani che possono realizzare grandi insediamenti produttivi in loco (tessile/abbigliamento, alimentare ed altri ancora).

Ma un discorso analogo si può fare per un gran numero di piccole e medie imprese, siano esse impegnate in prodotti “materiali” (meccanica per l’agricoltura, fertilizzanti organici, soluzioni per l’ottimizzazione delle filiere agri-food; realizzazione di micro-grid e di altre soluzioni di produzione energetica diffusa; soluzioni per la casa, sia rivolte al segmento premium sia di fascia bassa; salute; moda, abbigliamento, pelletteria, ecc.). Oppure nell’offerta di soluzioni digitali (servizi per agricoltura basati sull’Internet of Things, soluzioni di E-health, E-learning, soluzioni per la mobilità condivisa, ecc.).

L’esperienza: E4Impact Foundation

Un’esperienza di sviluppo di nuove imprese nell’ottica della sostenibilità realizzata in Africa, ha trovato la sua culla in un grande ateneo italiano, l’Università Cattolica di Milano.

Dopo aver avviato in Italia, nel 2005, un Master per studenti africani, Altis si è trovata a fronteggiare due rilevanti problemi: molti studenti al termine del Master, approfittando della qualificazione ottenuta, rimanevano in Italia; i costi italiani erano molto alti e la crisi economica rendeva sempre più difficile reperire borse di studio.

Di qui l’idea di andare in Africa. Era il 2010.

La scelta del Kenya, epicentro dell’Est Africa, si accompagnò ad altre tre decisioni che si rivelarono fondamentali:

  • lavorare in partnership con un’università locale, evitando due rischi tipici dell’impegno europeo in Africa: la pretesa paternalista di sapere noi cosa fosse più adatto in quel contesto; e l’infelice usanza di destinare i soldi a disposizione nei “mattoni” anziché negli uomini;
  • offrire un programma fortemente innovativo, non per job seekers ma per job creators, cioè per nuovi imprenditori motivati a generare un impatto sociale positivo nel loro contesto;
  • offrire un Master di eccellenza, ma a un prezzo accessibile, scelta che comportava la collaborazione e la valorizzazione di docenti e staff locali, nonché l’adozione di una formula blended, che abbinava periodi brevi in aula a numerose settimane sul campo, dedicate all’implementazione del progetto imprenditoriale, arricchite da formazione online e supportate da un business coach, un esperto che aiuta nell’affinamento del modello di business e nello sviluppo della dimensione finanziaria.

Il successo riscosso in Kenya ha portato allo sviluppo in altri Paesi africani. Quando nel 2015 le Nazioni erano cinque, il progetto iniziale si è trasformato in una fondazione, spin-off dell’Università Cattolica, grazie al coinvolgimento di Letizia Moratti e al sostegno di importanti imprese italiane: Securfin (Gruppo Moratti), Mapei, Salini-Impregilo a cui nel tempo si sono aggiunte Bracco, Eni, Intesa Sanpaolo, Lisa, Ge.Fi.

Con la sua attività, oggi la Fondazione ha promosso oltre 30 MBA, formando oltre 850 imprenditori, di cui il 33% donne.

Il 73% di questi ha un business attivo e, in complesso, sono stati creati almeno 4.000 posti di lavoro, a cui si aggiunge un indotto che è difficile misurare, ma che è realisticamente assai ampio.

Ma quali sono le ricadute positive per le imprese italiane? Ad esse E4Impact Foundation fornisce numerosi servizi.

Vediamone alcuni:

  • l’Mba sviluppa una straordinaria varietà di rapporti con il sistema economico, politico e istituzionale del Paese. Questo patrimonio relazionale può essere messo a disposizione delle imprese italiane: accesso a enti per l’import/export; a banche; a imprese locali potenziali fornitori, clienti, distributori o partner; a politici ed esponenti di istituzioni;
  • gli oltre 850 imprenditori che sono transitati per l’Mba potranno diventare partner, fornitori o clienti di imprese italiane appartenenti allo stesso settore;
  • infine, il servizio che abbiamo denominato “First Step Africa”: un’impresa interessata a entrare in un mercato locale, potrà offrire una borsa di studio a un giovane attentamente selezionato, che nel corso dell’Mba, avrà il compito di reperire informazioni utili, effettuare ricerche di mercato, stendere il business plan per l’impresa italiana. Insomma, l’azienda esplora a un costo assai ridotto le opportunità esistenti in un mercato ad alto potenziale. E, nei casi migliori, questa persona potrà in futuro essere assunta per stabilire una branch nel Paese.

Un approccio cambiato

Ma l’impatto di E4Impact sul sistema economico italiano è stato fortemente incrementato da un accordo a quattro stipulato nel 2018: “Insieme per l’Africa: partenariato privato-privato con le imprese africane”.

 

Infatti, a seguito della prima edizione del Sustainable Economy Forum (Rimini, aprile 2018), Confindustria, E4Impact Foundation e la Fondazione San Patrignano hanno presentato un progetto di lavoro comune per lo sviluppo economico-sociale del continente africano mediante la sottoscrizione di un Protocollo d’intesa (Roma, settembre 2018).

Il protocollo include anche la partecipazione attiva di Itc (International Trade Center), agenzia fondata nel 1964 da Wto e Onu per lo sviluppo imprenditoriale nei Paesi in via di sviluppo. L’obiettivo della collaborazione è triplice:

  • partenariato privato-privato per il co-sviluppo, per fornire un supporto all’imprenditorialità in Africa attraverso attività di tutorship e mentoring da parte di imprese italiane, per aiutare la crescita delle imprese locali e per lo sviluppo di nuove attività di business;
  • inclusione sociale, per realizzare percorsi di crescita professionale per migranti in collaborazione con imprese italiane orientati a far maturare esperienze tecniche e manageriali ai migranti e ad avviare attività di impresa con il proprio Paese di origine, favorendo anche il rientro dei migranti nei Paesi di provenienza come imprenditori;
  • finanza sociale, con l’obiettivo di promuovere l’emissione di green e social bond per l’Africa da parte di una o più istituzioni finanziarie, attraverso cui raccogliere risorse dedicate a finanziare investimenti per la sostenibilità ambientale e a impatto sociale.

La rete da far crescere

Ciò che riguarda più immediatamente l’attività di E4Impact è il primo dei tre punti. L’aspetto da sottolineare?

Il progetto di partenariato introduce una novità radicale nell’approccio all’Africa.

Il metodocon cui normalmente si tenta di condurre le imprese italiane a operare nel contesto africano è il seguente: si organizzano eventi di presentazione di Paesi o aree più vaste, si presentano i dati macroeconomici e le generiche opportunità settoriali e, a quel punto, si invitano le imprese italiane ad affacciarsi su questi mercati, preferibilmente iniziando con una missione imprenditoriale nel Paese prescelto.

Il metodo previsto dall’accordo “a quattro” rovescia la logica.

Si presenta agli imprenditori italiani un portafoglio di imprese africane, divise per settore e per Paese, le quali costituiscono altrettante opportunità di partnership. Così, la singola impresa italiana accede a un database, identifica alcuni potenziali partner e, a questo punto, può rivolgersi a E4Impact che opera in vista di facilitare i primi incontri tra le due aziende.

A cavallo tra 2018 e 2019 è stato realizzato un progetto pilota, identificando 40 imprese africane da tre distinte fonti: alcune tra le migliori imprese sviluppatesi grazie alla partecipazione all'Mba in Kenya (giunto ormai all’ottava edizione); le imprese coinvolte nell’acceleratore che E4Impact ha lanciato a Nairobi, grazie al sostegno dell’Aics (l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) ed ENI; alcune aziende identificate dalla rete africana di Itc.

Con l’obiettivo di coinvolgere le imprese italiane nel progetto, si è dato vita ad un road show in alcune città italiane (Roma, Napoli, Milano, Brescia ed altri sono attualmente in programmazione), in cui hanno preso la parola tra gli altri il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia e quello di E4Impact Foundation, Letizia Moratti, e si sono raccolte testimonianze di imprenditori impegnati con l’Africa.

Nei primi cinque mesi di attività 52 imprese italiane hanno manifestato il proprio interesse rispetto alle imprese africane. Le relazioni sono state avviate e, al momento attuale, si trovano in stadi di sviluppo più o meno avanzati.

Alcuni rapporti si sono fermati ad una attività di mentorship: l’imprenditore italiano, dotato di vasta esperienza, fornisce gratuitamente alle imprese africane suggerimenti su tecnologie, approcci di mercato, soluzioni organizzative.

Ma, per la maggior parte dei casi, si sta mettendo a punto una vera e propria partnership tra azienda italiana e azienda africana, che implica una forma di integrazione o di collaborazione intensa.

Per chiarire la natura di queste partnership, si considerino tre esempi, volutamente scelti in riferimento a tre tipi radicalmente diversi di aziende italiane: le imprese medie e grandi, le Pmi, le start-up innovative.

Per quanto riguarda il primo tipo, si consideri il caso di Mapei che ha identificato un’impresa ugandese già operante nel settore dell’edilizia, in grado di diventare il proprio distributore nel Paese.

Con riferimento alle Pmi, è assai significativo il caso di Openet, fornitore di servizi di comunicazione satellitare situato in Matera. Openet, operando con la keniota Lentera Limited, ha già realizzato cinque installazioni in ambito agricolo. Si tratta del primo passo per sviluppare un’applicazione per l’agricoltura di precisione che ha un grande potenziale di diffusione non solo nel Paese, ma anche nel resto dell’Africa. Per chi volesse seguire la tavola rotonda del Sustainable Economy Forum che spiega nel dettaglio quanto sta accadendo:

Quanto alle start-up innovative, illuminante è il caso di un’impresa napoletana che ha messo a punto una tecnologia per realizzare i mattoni a partire dalla plastica riciclata. Sul versante keniota, Corec si è da tempo specializzata nella produzione di materiale edile realizzato proprio con plastica recuperata nelle discariche e nei bordi delle strade di Nairobi.
L’impresa keniota attualmente utilizza una tecnologia molto tradizionale, che ha tra l’altro significativi rischi per la salute degli operatori. La tecnologia sviluppata in Italia presenterebbe vantaggi sia in termini di efficienza (e quindi di costi) sia in termini di salubrità.

Proprio nella seconda edizione del Sustainaible Economy Forum, svoltasi all’inizio di aprile 2019, terminato il progetto pilota, si è inaugurata la seconda fase dell’iniziativa, che presenta una scala decisamente più ampia.

Sotto il profilo geografico, se la prima fase ha visto una particolare attenzione al Kenya, nel prosieguo un simile impegno sarà esteso a più Paesi. Verrà inoltre significativamente ampliato il database di imprese africane.

E4Impact vaglierà con attenzione gli oltre 800 imprenditori coinvolti in passato nei propri programmi per identificare quelli che hanno maggior potenziale. Itc, agenzia delle Nazioni Unite basata a Ginevra, impegnerà nella ricerca di potenziali partner le proprie unità operative sparse nel continente africano: il numero delle imprese coinvolte potrebbe aumentare esponenzialmente.

Sul versante italiano, gli attori coinvolti in “Insieme per l’Africa” incontreranno i dirigenti regionali di Confindustria con delega di internazionalizzazione delle imprese.

L’obiettivo è quello di sensibilizzare capillarmente le imprese italiane, moltiplicando il numero di quelle interessate a trovare una partner in uno o più Paesi africani.

Ma c’è all’orizzonte un appuntamento che, nella speranza degli organizzatori, dovrebbe accelerare il processo di incontro tra le imprese italiane ed africane. Si tratta di Connext, l’incontro nazionale di partenariato industriale di Confindustria, che si terrà a Milano il 27 e il 28 febbraio 2020. In quella sede, si intende portare un numero significativo di imprese africane, in vista di organizzare una serie di incontri B2B con le potenziali imprese partner italiane.

Un valore condiviso

Quello della sostenibilità è per sua natura un problema globale, che vede le imprese in prima linea. In questo senso, anche pensando alla prossimità geografica e ai problemi connessi alla migrazione, le imprese italiane impegnate sui temi della sostenibilità non possono non guardare anche all’Africa.

Come abbiamo visto, guardare all’Africa significa cogliere opportunità di business.

E, nel contempo, guardare all’Africa vuol dire un’altra cosa ancora.

Assumersi creativamente una responsabilità sociale, una libera iniziativa per lo sviluppo integrale del pianeta.

Per questo, quella che abbiamo tratteggiato è una politica aziendale che incorpora la logica della creazione di valore condiviso:

  • valore economico per le imprese italiane, che sapranno immettersi in questo grande fenomeno di cambiamento in atto;
  • valore economico per le imprese africane che dalle partnership sapranno trarre tecnologie più avanzate, migliore capacità di soddisfare i bisogni locali e opportunità di espandersi in nuovi mercati in altri stati africani e fuori dal continente;
  • valore sociale, perché solo transitando dalla logica dell’aiuto alla logica delle partnership il continente africano sarà in grado di generare nuovi posti di lavoro, di migliorare le condizioni di vita della gente e di ridurre la povertà: in sintesi, di realizzare quella trasformazione che i bisogni della sua popolazione esigono.

Checklist

  1. Non limitare la tua strategia

    di sostenibilità soltanto a progetti locali

  2. Guarda a un continente come l’Africa

    e valuta le tendenze di crescita che offre

  3. Allo stesso modo considera che la sostenibilità

    è un problema globale e tu impresa devi cambiare approccio

  4. Il modo operativo con cui devi rivolgerti

    all’Africa come in genere ad imprese di Paesi emergenti è di partenariato

  5. Analizza con l’aiuto di esperti

    Paesi e aziende che possano diventare partner

  6. Non muoverti da solo

    analizza sempre prima realtà consolidate su questo fronte

  7. Partecipa a incontri come Connext

    per poterti confrontare e intercettare chance concrete e strutturare