< Home

Marketing 4.0: quando il cliente è il nostro ambasciatore

Il marketing 4.0 è tutto ciò che mette in relazione l’azienda con i clienti, reali o potenziali, in maniera profonda, rendendo i clienti parte attiva del rapporto con l’azienda stessa.

Lettura 16 min.

Sommario

Niente mode, solo concretezza
Che cos’è il marketing 4.0

Gestire la comunità dei clienti grazie alla tecnologia
I social media per il tuo marketing 4.0
Affidarsi agli editori: la comunicazione nativa sul Wall Street Journal
Il caso di Satispay: il loro marketing, il tuo marketing su una nuova piattaforma
Fai da te? Si può: una barberia ad Abbiategrasso
Il prodotto prima di tutto
La coerenza poi
Checklist

Niente mode, solo concretezza

La moda di mettere etichette numeriche dopo le parole chiave del mondo dell’imprenditoria, così come l’ossessione per l’uso degli anglicismi, rappresenta un problema. Rischia di far perdere la bussola, di condizionarti, di farti credere che le cose stiano cambiando intorno a noi a una velocità che non puoi controllare. In effetti, sì, sta succedendo: il cambiamento tecnologico è veloce ed evidente, le sfide che ci aspettano sono imprevedibili, l’asticella del saper prevedere il futuro è altissima e non sappiamo dove arriverà. Ecco perché un modo per prepararsi è costruire, con Skille, un bagaglio di competenze pensate per durare nel tempo e per aggiornarsi a partire da basi solide.

Abbiamo dato una prima definizione delle competenze che servono per affrontare il marketing digitale. Adesso è il momento di approfondire i meccanismi che consentono di implementare strategie utili ad aziende e attività di qualsiasi dimensione, attraverso una serie di principi solidi. Non è una promessa di facili attività alla portata di tutti, anzi: sarà necessario studiare o scegliere i professionisti giusti a cui affidarsi. Ma, prima di tutto, bisogna avere ben presente di cosa si parla. Ecco allora qualche definizione.

Che cos’è il marketing 4.0

Prima di tutto cerchiamo di dare una definizione del termine senza lasciarci condizionare dalle etichette.
Non è un caso se abbiamo già citato l’ultimo lavoro di Philip Kotler quando abbiamo parlato di comunità.

Il motivo è molto semplice ed è lo stesso Kotler a guidarci verso la comprensione di quel che è cambiato e sta cambiando: «i clienti non sono più target passivi ma stanno diventando mezzi attivi di comunicazione».

Il marketing 4.0 è tutto ciò che mette in relazione la tua azienda con i clienti (reali o potenziali) in maniera profonda, rendendo i clienti parte attiva del rapporto con l’azienda stessa.

Per semplificare ancor di più il concetto: le persone parlano della tua azienda. Lo fanno ovunque. È un bene se riesci a intercettare almeno una parte di questa conversazione. Inoltre, i tuoi clienti – attuali o potenziali – stanno cambiando lentamente le loro abitudini. Non sono più disposti a sentire decantare le lodi di un prodotto o di un’azienda in maniera passiva. Vogliono verificare, cercano recensioni, altri pareri, confronti e via dicendo.

Per questo è importante capire come entrare in queste conversazioni, come avere un rapporto diretto con la clientela per mantenere la sua fiducia e per trovare altri clienti.

Gestire la comunità dei clienti grazie alla tecnologia

«Un brand di prodotti cosmetici, Sephora - spiega Kotler nel suo libro - ha iniziato a usare le comunità come un nuovo asset multimediale. L’azienda ha costruito una community sui social media in cui tutti i contenuti generati dagli utenti (in Skille preferiamo, in questo caso, la parola clienti) vengono incorporati nella piattaforma Beauty Talk». Guardarla e navigarci è molto istruttivo. Si tratta di una vera e propria piattaforma sociale in cui i clienti di Sephora si scambiano opinioni sui prodotti, usano i prodotti stessi e si fotografano con i loro look, interagiscono diventando parte attiva nel rapporto con l’azienda.

Il grande vantaggio, intuito da Sephora, è che le conversazioni, sulle quali le aziende, di solito, non hanno alcun modo di esercitare controllo, vengono in questo modo canalizzate all’interno di un ambiente che appartiene all’azienda stessa.

Si possono avere informazioni sul modo in cui i clienti usano i prodotti dell’azienda. Si possono scoprire le criticità, migliorare i punti di forza. Si può avere un rapporto diretto con la clientela.

Non solo: Sephora ha anche messo in campo un utilizzo a tutto tondo delle nuove tecnologie, lavorando da tempo sui chatbot. L’evoluzione di questo lavoro fa sì che il cliente possa utilizzare, attraverso la chat di Facebook, la camera del proprio Smartphone per provare virtualmente un prodotto Sephora, un trucco, e vedere come e se quel trucco si adatti al suo viso e alle sue aspettative.

I clienti provano, si fotografano con quei trucchi, pubblicano quelle foto sui loro social. Diventano, insomma, ambasciatori dell’azienda stessa.
È un duplice esempio che mostra come si possano intercettare abitudini e passioni dei clienti e utilizzarle al meglio

Naturalmente, sviluppare ambienti e tecnologie simili ha un costo elevato. Ma ci sono piattaforme dove si possono adottare strategie di marketing con budget relativamente più limitati. Sono le piattaforme social, che possono così entrare a far parte di una strategia integrata.

I social media per il tuo marketing 4.0

Perché la connettività e l’esistenza dei social sono elementi fondamentali per concepire una strategia di marketing? Lo spiega ancora Kotler, così: «La connettività trascende la tecnologia e i segmenti demografici. La connettività trasforma il fondamento stesso del marketing: il mercato». È per questo motivo che nei paesi dove l’impatto della tecnologia è arrivato prima rispetto all’Italia e dove certe pratiche sono ormai consolidate parlano di marketing integrato.

In Integrated Marketing Communications, Hieko Wieland e Jenny Lin attivano in maniera molto chiara la comprensione dell’uso dei social media per iniziative di marketing

C’è una presunzione enorme rispetto all’uso dei social media. Una presunzione che Wieland e Lin riassumono in sette falsi miti:
• i social non fanno per me e per la mia azienda (in particolare, è una presunzione del mercato B2B)
• i social richiedono troppo tempo e troppe energie
• i social non servono a niente e non si può misurare alcun ritorno sull’investimento
• i social sono una moda
• i social funzionano solo per i giovani
• i social sono una cosa nuova
• i social sono gratis

Perché sono falsi miti? In mercati maturi ed evoluti come gli Stati Uniti il 77% degli adulti con capacità di spesa ha un profilo su un social network. Nell’ultimo anno si è registrata per la prima volta una flessione: questo non ci autorizza a pensare che i social siano morti come qualcuno vorrebbe, ma piuttosto che sarà utile iniziare a interessarsi a nuove piattaforme e modalità di raggiungere le persone con il digitale. In futuro. Intanto è bene imparare a gestire i social nel modo migliore possibile.
I mercati sono conversazionali e relazionali, e il B2B può beneficiare dei social esattamente come il B2C. Un’adeguata pianificazione, con un piano editoriale e un piano d’azione, e una misurazione affiata a persone capaci sono alla base di una gestione del tempo sensata. Nel mondo vengono utilizzati da persone di tutte le età ma, pur essendo una “novità” (relativa) si basano su principi che afferiscono a meccanismi relazionali e comportamentali ben noti. Le persone amano entrare in relazione fra loro, scambiarsi opinioni, conversare, condividere esperienze con altre persone che hanno interessi affini ai loro.

 

I social sono un luogo perfetto per relazionarsi con le persone attraverso contenuti di ogni genere, purché ben progettati, ben concepiti e realizzati, ben misurati, parte di un piano editoriale preciso. Il social media management, spiegano Wieland e Lin, è «una perfetta combinazione fra la creatività del marketing e la tecnologia».

Insomma: se decidi di aprire una pagina Facebook o un profilo Twitter o Linkedin o analoghi per la tua azienda, ricordati che sì, è una buona idea, perché quel luogo diventerà un altro punto di contatto con i tuoi clienti e con chi non ti conosce ancora. Ma devi anche sapere come muoverti, ed è per questo che su Skille approfondiremo, nelle prossime uscite, l’uso dei social come elemento di marketing e di comunicazione.

Affidarsi agli editori: la comunicazione nativa sul Wall Street Journal

Agnes Majewska

Pagina LinkedIn

Una delle strategie che funziona per favorire la circolazione dei brand è la pubblicità nativa o comunicazione nativa. In questo caso, le aziende utilizzano come bacino di divulgazione del proprio messaggio, del proprio marchio, dei propri prodotti, giornali che hanno già un loro pubblico.
Per capire bene come funziona questo tipo di comunicazione abbiamo intervistatoAgnes Majewska che si occupa proprio di contenuti nativi per un grande gruppo: il Wall Street Journal Custom Studios.
Il confronto non deve spaventare: è bene guardare modelli “alti” per capire, poi, come procedere anche in casi più piccoli.

«Faccio parte di un team che fa ponte fra il team editoriale - spiega Agnes mentre parliamo a più di un migliaio di chilometri di distanza grazie a un hangout - e il gruppo di vendita vero e proprio. Abbiamo persone che scrivono, giornalisti freelance, un videomaker, un designer e tre persone di marketing. L’obiettivo di chi si occupa della vendita della pubblicità nativa, di quelli che noi chiamiamo i “Custom Content” è, prima di tutto, educare i clienti alla comprensione di quel che facciamo. Cioè, contenuto di tipo editoriale puro. Cerchiamo di spostare il loro interesse dalla pubblicità tabellare tradizionale (sia digitale sia cartacea) a questo tipo di pubblicità. C’è stato un grosso lavoro di educazione del mercato: siamo partiti abbastanza presto, con alcuni casi, 3 o 4 anni fa».

Esperienze dinativa le sta sperimentando anche l’Eco di Bergamo in Italia: è un’esperienza complessa, locale e in un mercato che non è ancora avanzato quanto quello anglosassone.
Definiamola, dunque, in maniera inequivocabile. Com’è fatta, questa comunicazione nativa, quella più evoluta?

Sono contenuti che non sembrano mai comunicati stampa. Prima di tutto, appunto, sono contenuti. Abbiamo l’obbligo di informare, educare, intrattenere i nostri lettori. Quei contenuti possono parlare del brand, eventualmene, ma a monte si pensa a chi li legge, a chi li guarda, a chi ne fruisce».

E i clienti capiscono la differenza di valore?
«Nel mercato anglosassone sì, anche se alcuni clienti sperano ancora che facendo un pezzo di Custom Content avranno anche, incluso nel pacchetto, qualche altra forma di sponsorizzazione più tradizionale»

Sono chiaramente definiti come contenuti sponsorizzati?
«Sì, per forza, la trasparenza è fondamentale».

Uno degli esempi più interessanti di quel che avete fatto è sicuramente Cocainenomics (contenuto sponsorizzato da Netflix), ma sul sito ufficiale del gruppo di lavoro ci sono molte campagne recenti, di aziende di ogni dimensione.
«Quello che cerchiamo è capire all’inizio se il cliente ha come obiettivo, per esempio, quello di avere un maggior numero possibile di persone che atterrino sulla pagina per informarsi, per scoprire il brand. Evitiamo di promettere che le persone atterreranno su una pagina e poi faranno un’azione. Non è così: il nostro obiettivo è di far scoprire i contenuti. Per farlo, li amplifichiamo, usando anche le piattaforme social. Andiamo dove sono le persone».

Il contenuto, in altre parole, va liberato, amplificato, utilizzando tutti i canali possibili di diffusione del medesimo, secondo il principio del contenuto aggregatore: una storia ben raccontata e raggiungibile attraverso tutti i canali utilizzati dalle persone a cui potrebbe interessare aggrega un pubblico molto più ampio di un banner pubblicitario fine a sé stesso. E poi ci vuole la libertà del gruppo creativo.

Per quali tipologie di aziende funziona?
«Direi per tutte. Abbiamo trovato nelle aziende piccole, nelle start up, partner davvero interessanti. È sicuramente una tipologia di comunicazione che può funzionare anche per le aziende piccole o medie. La cosa fondamentale, secondo me, è avere una storia da raccontare. Una storia interessante per le persone»:

Le persone ritornano spesso, in questo discorso, così come la fiducia.
È così. Prima di tutto noi non vogliamo perdere la fiducia dei nostri lettori, dei lettori del Wall Street Journal. Per questo vogliamo avere il controllo di quello che facciamo. Se il brand giornalistico ha la fiducia dei suoi lettori e il partner commerciale ha quella dei consumatori, i risultati arrivano».

Il giornale, insomma, continua ad essere un luogo dove le aziende possono fare comunicazione di sé in maniera utile. Purché ci si ricordi dei sani principi di correttezza e di trasparenza e purché si metta l’interesse del pubblico al di sopra di ogni altro.

Il caso di Satispay: il loro marketing, il tuo marketing su una nuova piattaforma

Abbiamo visto fin qui il caso in cui si voglia sviluppare qualcosa di proprio, per costruire relazioni col pubblico, l’uso dei social e la sinergia con realtà editoriali. Ma per comunicare la propria azienda si può anche decidere di utilizzare, per esempio, il servizio di una app molto usata dalle persone.

Alle Primavere di Como Alberto Dalmasso ha raccontato la sua startup. Quella italiana più finanziata di sempre. Quella che promette di partecipare alla corsa verso il cambiamento nel mondo dei pagamenti. In pratica, Satispay è una app che consente di pagare con il solo smartphone, si collega direttamente al conto corrente di chi la utilizza, dal quale, una volta a settimana, preleva un budget predefinito senza costi. Per le aziende ha una gamma di commissioni che sono al massimo di 0,20 € più lo 0,50% della transazione nel caso di negozi virtuali (online) e che, per attività fisiche, hanno una commissione di 0,20 €.

Come si fa marketing, per un’idea così? È chiaro che il marketing è connesso alla natura stessa del prodotto che si propone di attrarre quante più persone possibili (aziende e consumatori) e che prevede iniziative di vario genere (che vanno dall’ormai classico “invita un amico per 5 €” ad attività più raffinate, ma comunque che fanno leva su una componente molto relazionale).

Nel 2016, Satispay ha lanciato una campagna che si chiamava “la prima volta non si scorda mai”. I canali erano tradizionali e social al tempo stesso. In altre parole, si trattava di una campagna integrata. Il messaggio era in evidenza sulle pensiline dei mezzi pubblici di Torino e Milano e prevedeva un’esposizione nelle vetrine dei negozi convenzionati.

La parte interessante, qui, sta nel fatto che il concept della campagna sia stato realizzato internamente, per poi rivolgersi ad agenzie specializzate per la pianificazione.

Il concept e la creatività della campagna sono stati realizzati internamente, dando spazio allo stile ironico e un po’ irriverente, ma al contempo sempre pulito nelle linee e garbato nei toni, che ha reso riconoscibile il brand.

La comunicazione diretta e il rapporto con le persone è talmente importante persino per lanciare una nuova idea che Dalmasso ha spiegato: «abbiamo pensato di farci un video mentre mettevamo su una lavagna le linee del progetto e lo abbiamo mandato a 60 amici. In 52 hanno investito, è stato il primo passo che ci ha fatto capire che aveva un senso restare e sviluppare in Italia». Cioè: produrre contenuti può servire, in aziende innovative, anche per trovare finanziatori.

C’è, ovviamente, la pagina Facebook. È importante vedere come viene gestito lo spazio delle recensioni: il team si deve premurare di rispondere in particolare a quelle negative, perché anche questo tipo di rapporto con i clienti diventa una leva di marketing.

C’è un altro elemento interessante in attività come Satispay che si rivolgono anche ad aziende e attività commerciali, ed è il fatto che aderire a una piattaforma come questa (esattamente come essere su Facebook o su altri canali) in primo luogo ti avvicina ai tuoi clienti.

 

In secondo luogo è un’attività di micro-marketing a costi ridottissimi. In che modo? Semplice. Se un negozio attiva Satispay e un cliente è nei dintorni e cerca dove può pagare con Satispay, il sistema di geolocalizzazione mostra al cliente gli esercizi nei dintorni. E così, per il solo fatto di esserci, ci si può far scoprire da qualcuno che non ti conosceva.

A dimostrazione del fatto che queste strategie di marketing funzionano in tutti i settori e gli ambiti, è interessante ricordare che Satispay è una piattaforma che si rivolge sia al mercato B2B sia a quello B2C.

Per avere un punto di vista interno, abbiamo sentito Andrea Allara, Head of Sales and Business Development di Satispay.

Andrea Allara

Head of Sales and Business Development di Satispay

talk

Quali sono le strategie di marketing che fanno parte del percorso di Satispay?

Il nostro è un servizio che consente alle persone di gestire in modo diverso il denaro. È molto smart, di facilissimo utilizzo, ma ha sempre a che fare con una sfera molto delicata, quella dei soldi. Per questo, fin dal primo momento abbiamo puntato sulla trasparenza, sul dialogo aperto con la nostra community per raccontare quella che è invece la complessa struttura che sta dietro al nostro servizio. Su tutti i nostri canali di comunicazione e marketing, a partire dall’app fino ai nostri social e ai canali di distribuzione, che per noi sono i negozianti e le sempre più numerose banche che decidono di integrarci nella loro offerta per dare ai propri clienti uno strumento che genera loro valore aggiunto, abbiamo mantenuto questa cifra di comunicazione.
Il secondo elemento portante della nostra strategia è certamente la concentrazione estrema e continua sulla user experience. Una concentrazione fatta dall’ascolto attento delle esigenze della nostra community e che ha a che fare con la sostanza stessa del servizio, perché il marketing si costruisce anche facendo evolvere il prodotto. Infatti questo nel tempo ci ha portato – e ci porterà sempre più – a offrire servizi di valore aggiunto nell’app, dalle ricariche telefoniche, alla recentissima funzionalità per il pagamento in-app dei bollettini PagoPA e molte altre novità che verranno e fanno parte della strategia di posizionamento di Satispay quale first mover e innovatore.

In che modo la comunicazione del prodotto è coerente con il DNA di Satispay?

Semplicità e freschezza sono i caratteri distintivi della nostra comunicazione, che riflettono in pieno lo spirito del nostro servizio.

Quanto è utile la “brand advocacy” a un brand come Satispay? E quanto è utile in generale?

Moltissimo, un’importante percentuale delle nostre iscrizioni derivano dal passaparola. Anche in questo caso crediamo che la prima strategia a sostegno della brand advocacy sia la qualità del servizio e dell’esperienza d’uso, che si traduce nel proporre servizi e funzionalità che entusiasmino il pubblico, e nel dare poi ai nostri utenti un’assistenza di valore.
Il nostro customer care, ad esempio, è fondamentale in questo. Chi chiama per un dubbio, per risolvere un problema, per capire un qualsiasi aspetto, trova sempre un’immediata risposta. In entrambi i casi, funzionalità e assistenza, si tratta di elementi che devono in primis soddisfare il nostro livello quasi maniacale di soddisfazione. Se vanno bene per noi, siamo sicuri che possano diventare elementi di soddisfazione anche per la community.

Per una piccola azienda, essere “adopter” di Satispay può essere un’attività di micromarketing?

Certo. È proprio una delle caratteristiche del nostro servizio. Le nostre aziende target sono i merchant, di qualsiasi tipologia e dimensione, dal piccolissimo negozio al grande brand. Per loro abbiamo messo a punto uno straordinario strumento di relazione e marketing verso il cliente: il cashback. Partito come strumento per il nostro marketing e la nostra promozione, che ci permette di offrire grandi vantaggi alla nostra community e di effettuare campagne molto mirate sul territorio, è subito divenuto uno strumento richiesto anche dai negozianti, che lo trovano ideale come elemento integrativo alle loro campagne promozionali, sia come elemento di drive o store (perché aprendo l’app l’utente può immediatamente scoprire dove vicino a sé può essere più conveniente acquistare) sia di promozione a performance (perché di fatto il negozio investe nel cashback solo ad acquisto avvenuto).
Il grande valore di questo strumento è dato da un lato dal fatto che noi preserviamo e proteggiamo tutti i dati dei nostri utenti (che quindi non vengono mai disturbati o raggiunti da comunicazioni promo), al contempo però permettiamo al negoziante, attraverso un pannello di controllo, di decidere verso quali tipologie di persone indirizzare le proprie campagne selezionandole per genere, età, area geografica, e con quali modalità, ad esempio impostando un cashback incrementale per fidelizzare il cliente, oppure periodico, o con altre flessibili opzioni.

Fai da te? Si può: una barberia ad Abbiategrasso

Se Sephora e Satispay rappresentano due casi molto particolari, sebbene di dimensioni e storia diversi (la prima è una catena internazionale nata nel 1973, la seconda una startup che ha poco più di due anni), possiamo riportare a realtà ancora più vicine alla vita di tutti i giorni. Un esempio che scelgo per frequentazione personale e occasionale (*) è un barbiere. Si tratta di un barbiere un po’ particolare, che ha ripreso un’estetica italoamericana. Ci trovi la classica insegna del barbiere, quella che gira. L’arredamento è d’epoca. Aspetti il tuo turno su sgabelli o sedie tipo quelle dei cinema di una volta. Il servizio è per persone che hanno voglia di lasciare, per un po’ di tempo, il mondo iperconnesso. Panno caldo, chiacchiere, un caffè, una birra, un approccio un po’ grezzo, rude ma gradevole. La gestione social è da analizzare, perché è quella che rappresenta le tecniche di cui stiamo parlando.

La pagina Facebook, che pure è molto naif, rispetta perfettamente l’atmosfera del negozio. Racconta le persone che trovi al suo interno. Racconta una storia, divisa in tanti piccoli momenti. I contenuti sono perlopiù autoprodotti, a volte anche sgrammaticati. Si vede che è un progetto per molti versi fai da te (tranne probabilmente l’impianto grafico e l’immagine coordinata), ma è perfettamente coerente all’esperienza da cliente che vivi in negozio. Così, per esempio.

La chat di Facebook viene utilizzata per le informazioni base e per prendere appuntamenti.
Lo spazio recensioni diventa ancora una volta volano naturale per la brand advocacy: i clienti, soddisfatti, parlano bene del prodotto in modo che altri clienti lo vedano. Lo puoi fare anche tu. Qualunque sia la tua azienda. Ma qui arriviamo al punto cruciale.

Il prodotto prima di tutto

C’è un problema a monte, ed è il caso di definirlo bene, una volta per tutte. Questo mondo, che è cambiato intorno a noi al punto da rendere così importante e evidente il passaparola, non è più disposto ad ascoltare monologhi sui prodotti: il viaggio dei consumatori (B2B o B2C poco importa) è fatto di momenti relazionali e di condivisione che non perdoneranno mai dichiarazioni inappropriate rispetto a quello che sperimentano (vale sia per i prodotti fisici sia per i servizi). Sarà sempre più vero e sempre più necessario potersi permettere – grazie alla qualità di quel che si offre – un racconto, una comunicazione e una relazionalità trasparenti. È questo il marketing etico: un marketing profondamente connaturato al prodotto stesso. Puoi leggere qui per capire cosa significa marketing sano.

I consumatori più evoluti vogliono conoscere i processi, si preoccupano della sostenibilità, vogliono testare, leggere le opinioni dei consumatori, mettere alla prova la capacità di gestire e assistere il cliente. Tutto questo entra a far parte integrante dei percorsi di marketing: comunicare 4.0 vuol dire aver ben presente che non si possono più dire bugie o mezze verità: prima o poi qualcuno, online e sui social, ti scoprirà e ti smaschererà.

La coerenza poi

Se il prodotto c’è, è il momento della coerenza.

Le persone devono riconoscere il tono di voce della tua azienda, le sue caratteristiche. Devono trovarti dove si trovano loro e devono essere sicure che ti approccerai a loro in maniera gentile e appropriata, che gestirai eventuali lamentele – arriveranno – in modo professionale così come gestirai i complimenti. Il tema saliente è l’ascolto, come parte fondativa di qualsiasi strategia di marketing.

Per molti questa parte è un nodo da superare, una paura, un elemento da non affrontare o, addirittura, da cui fuggire. Il fatto è che se non parli con i tuoi clienti, loro parleranno comunque di te. Quindi, meglio prendere esempio da Sephora, dalla barberia, da Satispay e da tutti coloro che hanno intuito l’importanza del marketing 4.0 o integrato: non importa come lo chiamiamo. Importa come viene fatto. Ascolto e osservazione sono gli elementi fondamentali.

I passi da implementare in una strategia sensata sono:
• l’ascolto delle conversazioni a proposito del tuo brand
• l’ascolto delle conversazioni a proposito dei tuoi concorrenti
• l’ascolto delle conversazioni a proposito di quel che dicono le persone sul tuo mercato di riferimento, sulla tua categoria
• l’ascolto del tono di voce della comunità
• l’ascolto su canali diversi, piattaforme, social media

Ascoltare significa leggere i commenti, leggere i blog, leggere i forum, stimolare conversazioni e trarne informazioni; significa, poi, essere capaci di orientarsi, di prendere decisioni e quindi di agire.

Agire, nel marketing 4.0, significa mettere insieme una strategia.

Nei prossimi contenuti di Skille dedicati al marketing e alla comunicazione approfondiremo singolarmente i vari punti trattati in questo primo compendio.

Checklist

  1. Scopri e studia

    Definisci le tue caratteristiche, scopri una volta per tutte cosa rende unica la tua azienda, descrivi la tua offerta. Scopri qual è la tua storia da raccontare. Studia per avere le competenze necessarie a capire cosa stiano facendo i tuoi consulenti o dipendenti e i tuoi clienti. Scopri quando puoi far da te e quando devi rivolgerti a qualcuno. Scopri quali sono i brand a cui associare la tua comunicazione.

  2. Scegli

    Decidi che tipi di strategie vuoi utilizzare. Se vuoi che i tuoi clienti lascino commenti sul tuo sito. Se vuoi parlare con loro sui social. Se vuoi affidarti a un brand editoriale. Se vuoi utilizzare servizi o app che possono aiutarti a veicolare il nome della tua azienda

  3. Crea

    Fai un piano editoriale, segmenta la tua storia in tanti racconti, produci contenuti. Affidati a persone di fiducia per quel che non puoi fare “in casa”

  4. Comunica

    Dissemina i tuoi contenuti attraverso tutte le piattaforme possibili, coerenti con il tuo business e che riesci a gestire. Fallo definendo una policy: cosa dirai? Come converserai con le persone? Chi gestirà la conversazione?

  5. Mantieni

    La strategia che avrai creato richiederà di lavorare al processo come in un loop. Contenuti e prodotto e comunicazione del medesimo diventeranno un unico oggetto coerente, al tempo stesso leva di marketing e di vendita

(*) Per trasparenza: l’autore di questo articolo non percepisce alcun tipo di gratificazione, sconto o regalia per quanto scritto in queste righe