Qualche confusione, molti ritardi. Ma il fenomeno cresce
Non significa lavorare solo da remoto. È definita una rivoluzione in quattro stadi: che coinvolge persone, spazi, cultura manageriale e strumenti da utilizzare. È un percorso di trasformazione profonda dell’organizzazione aziendale, che richiede investimenti in tecnologia, ridefinisce le modalità di vivere il lavoro da parte delle persone. Ma soprattutto cambia completamente il sistema di valutazione del lavoro, non più sulla presenza fisica ma sui risultati, le performance finale.
C’è voluta un’emergenza come quella scatenata sulle aziende dal Coronavirus per riportare sul tavolo delle aziende e dei manager delle Risorse Umane un tema sempre più centrale nell’organizzazione del lavoro del futuro, uno strumento che si è presentato subito come il grande strumento per risolvere la potenziale paralisi che il tradizionale modo e organizzazione del lavoro poteva provocare sulle aziende. In molti casi, dove il lavoro è stato già impostato per obiettivi e con una nuova leadership del lavoro, la paralisi non si è avuta. In moltissimi altri, la crisi ha invece dimostrato il ritardo accumulato causando il fermo delle aziende e delle attività.
L’ultima fotografia racconta che se solo un terzo dei dipendenti in Italia lavorasse secondo un progetto di smart working, ogni giorno ci sarebbero almeno 2,8 milioni di lavoratori che potrebbero usufruire di ampia flessibilità negli orari di lavoro, di un’autonomia nella scelta del luogo da dove lavorare, di disporre di strumenti digitali e tecnologici per garantire la propria prestazione professionale: tutto questo senza nessuna conseguenza sull’attività e sulle funzioni ordinarie della sua azienda.