Violenza sulle donne, nella Bassa 160 richieste d’aiuto da inizio anno: è emergenza
I dati del Centro antiviolenza Sirio di Treviglio. Metà prese in carico e 8 ospitate nelle «case rifugio». Lettera ai parlamentari: «Servono subito leggi ad hoc».
Centosessanta richieste d’aiuto dall’inizio dell’anno arrivate allo sportello di ascolto del Centro antiviolenza Sirio di Treviglio da altrettante donne che vivono nella Bassa e hanno trovato il coraggio di segnalare situazioni a rischio in casa: maltrattamenti, minacce, pestaggi. Un dato in crescita rispetto al 2019 (l’anno scorso è stato troppo «scombussolato» dalla pandemia anche in questo settore per poterlo usare quale metro di paragone), con 20 casi in più da gennaio di quest’anno a oggi. E la metà di questi nuovi casi, un’ottantina, sono stati presi in carico dal servizio (sono tutte persone residenti in pianura, visto che il centro antiviolenza trevigliese ha competenza sugli Ambiti sanitari di Treviglio e Romano di Lombardia) perché andavano oltre le semplici, quanto comunque importanti, richieste di informazioni generiche e iniziali. E di questi casi, 8 hanno riguardato donne per le quali è stato necessario intraprendere un percorso formale di allontanamento, spesso assieme ai figli, dal marito o dal compagno violento, trovando ospitalità nelle cosiddette «case rifugio», la cui localizzazione è naturalmente segreta per garantire la tutela alla donna e, in molti casi, ai suoi figli.
Sette femminicidi
Un fenomeno, quello della violenza di genere, tornato alla ribalta in queste settimane di settembre: a livello nazionale negli ultimi dieci giorni si sono infatti registrati ben 7 femminicidi, che hanno portato il totale a qualcosa come 83 dall’inizio dell’anno. «A tutti gli effetti un’emergenza, che come tale viene definita anche dalle autorità, senza però che sia trattata, di fatto, come tale a livello legislativo», sottolinea Cinzia Mancadori, responsabile dei Centri antiviolenza e delle Case rifugio di Sirio. Che ha deciso di inviare per conto della cooperativa – da anni in prima linea contro la violenza alle donne – una «proposta» (questo l’oggetto della e-mail) ai parlamentari bergamaschi (tutti e 11, di tutti gli schieramenti), chiedendo che «il legislatore tratti questo tema veramente in un’ottica di emergenza: ci affidiamo a voi, non essendo noi competenti sui meccanismi legislativi, per chiedere che prima possibile si parli di violenza sulle donne come emergenza e, di conseguenza, che si possa valutare l’opportunità di utilizzare le stesse regole di uno stato di emergenza».
Misure restrittive
In che modo? «Prevedendo immediatamente – prosegue la missiva –, prima di qualsiasi valutazione, l’applicazione di misure restrittive nei confronti del presunto reo, che gli impediscano di avere campo libero nel cercare, incontrare, violare e poi uccidere la donna che ha scelto di ribellarsi. Mettere in sicurezza le donne, allontanarle dalle loro case con i figli, impedire loro di vivere una vita normale e far perdere loro il lavoro, lasciando l’uomo libero di agire, non è sufficiente».
Il timore – spiega Mancadori – è che le continue notizie di femminicidi arrivino in qualche modo ad assuefare l’opinione pubblica, come se ormai fossero la normalità: «Quando sentiamo dire che la tal vittima aveva denunciato, ma che non è servito a niente, per noi è una sconfitta. Noi abbiamo grande fiducia nelle forze dell’ordine, che applicano quanto previsto dalle leggi. Servirebbe però che ci sia un intervento a priori, quando si presenta una situazione di emergenza, con l’allontanamento del potenziale marito o compagno violento. Anche perché, accanto a chi ci ha rimesso la vita, ci sono anche tante donne che hanno purtroppo subito danni fisici o psicologici permanenti».
A sollevare un polverone anche le recenti dichiarazioni (per le quali si è poi scusata) della conduttrice di «Forum» Barbara Palombelli di fronte all’escalation di femminicidi («A volte è lecito domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, oppure c’è stato anche un comportamento esasperante anche dall’altra parte?», ha detto in diretta durante una puntata): «Dichiarazioni tremende – spiega Mancadori –, anche se talvolta le vittime sono in una situazione di tale oppressione che si chiedono se magari non ci sia una parte di colpa anche in loro. Ma è una visione distorta della realtà, causata appunto dal loro stato». La colpa, di fronte alla violenza, è sempre e soltanto di chi la commette e mai della vittima.
Tant’è vero che ci sono stati casi – benché non numerosi – in cui anche l’aggressore è riuscito a rendersi conto dei suoi gravi errori ed è entrato in un percorso di consapevolezza: in questi casi, rari, le violenze sono cessate. Una vittoria per tutti, in primis per le donne. Ma la strada è ancora lunga perché sia questo a diventare la norma.
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