Uccise il marito, gli esperti concordi: «Incapace di intendere e di volere»

IL DELITTO. Consulenti di parte e periti: vizio totale di mente per Caryl Menghetti. L’omicidio lo scorso gennaio a Martinengo nella casa della coppia. La donna aveva già avuto problemi psichici.

Quando Caryl Menghetti uccise il marito Diego Rota, nella loro villetta di Martinengo, «era totalmente incapace di intendere e di volere». È il risultato, concorde, delle consulenze e della perizia depositate venerdì 12 luglio – in incidente probatorio – dagli esperti delle parti e del Tribunale. «La difesa è molto soddisfatta del risultato», le parole dell’avvocato Danilo Bongiorno.

La donna, 45 anni, accoltellò il marito la sera del 26 gennaio scorso, quando lui si trovava già in camera da letto. Venerdì, sentite le relazioni degli esperti, il gip Riccardo Moreschi ha rimesso gli atti alla pm Laura Cocucci per tutte le valutazioni del caso. La Procura potrà quindi chiedere al Tribunale di fissare un’udienza ed emettere la sentenza, che potrebbe essere di assoluzione o di non luogo a procedere per l’accertata incapacità di intendere e volere della donna al momento del fatto.

Ma i magistrati dovranno anche valutare se vi è pericolosità sociale e, in caso di risposta affermativa, emettere un’eventuale misura di sicurezza da applicare a Menghetti. La donna potrebbe pertanto uscire dal carcere, dove si trova al momento, per entrare in una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Sempre nel caso in cui fosse riscontrata una pericolosità sociale, la stessa dovrà poi essere rivalutata nel tempo.

L’omicidio a gennaio

Il fatto risale alla notte del 26 gennaio scorso. Erano circa le 23,30 quando la donna impugnò un coltello con cui colpì il marito per 25 volte, uccidendolo mentre la figlioletta dormiva nella stanza accanto. Proprio quella mattina, Diego Rota – 55 anni, titolare di una ditta di falegnameria – aveva accompagnato la moglie all’ospedale di Treviglio. Qui, dopo una prima visita, la donna fu trasferita nel reparto di Psichiatria per essere visitata.

Fu dimessa, con la prescrizione di alcuni farmaci. E sarebbe stato proprio il marito a chiedere di poterla riportare a casa. L’omicidio, si ipotizzò già poco dopo il fatto, poteva essere legato a un disagio psichico di Menghetti. Un problema che si era manifestato già qualche anno prima (quando fu commesso il delitto la donna aveva interrotto la terapia da circa un anno) e poi si era ripresentato quel giovedì di fine gennaio. Quel giorno, la quarantacinquenne in ospedale ha pronunciato frasi deliranti in direzione del marito: sosteneva che l’uomo fosse coinvolto in un giro di pedofilia, dicendo che l’avrebbe ucciso se si fosse rivelato vero. Un delirio, appunto, perché la vittima era un normalissimo padre di famiglia. La donna fu arrestata con l’accusa di omicidio volontario aggravato. Dopo quattro giorni in carcere, il 29 gennaio fu trasferita in Psichiatria al «Papa Giovanni».

Poi, dal primo marzo, nel carcere di Torino, ma sotto terapia farmacologica. Il Tribunale aveva disposto una perizia psichiatrica, in incidente probatorio. Il 29 aprile, gli esperti si sono espressi favorevolmente sulla capacità della donna di stare in giudizio. Venerdì, la relazione sul secondo quesito, quello più importante per il futuro dell’imputata: se quando uccise il marito fosse capace di intendere e volere. E, su questo punto, il giudizio di consulenti e periti è stato concorde: vizio totale di mente al momento del fatto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA