Reddito di cittadinanza, in 2 anni 2.400 assunzioni

Su quasi 9 mila persone in carico è questo il risultato ottenuto dai Centri per l’impiego della Provincia: 1.533 i posti a tempo indeterminato.

Oltre 12 mila richieste, 2.400 posti di lavoro creati, quasi 9 mila persone attualmente in carico ai Centri per l’impiego. A due anni dall’entrata a regime dei Patti per il lavoro previsti dal Reddito di cittadinanza, e mentre il Parlamento sta discutendo proprio in queste settimane se e come mantenere la misura di sostegno al reddito introdotta nell’aprile del 2019 anche dopo il 2021, per la provincia di Bergamo è ormai tempo di bilanci. Le famiglie residenti nella Bergamasca che, ad oggi, percepiscono il reddito sono 6.937, per un totale di 15.502 persone e un assegno medio mensile di 506 euro per nucleo familiare (dati Inps aggiornati a giugno 2021).

Al netto di coloro che, per motivi di età, malattia o altre fragilità sono in carico ai Servizi sociali dei Comuni, sono 8.886 le persone che invece sono seguite dai dieci Centri per l’impiego gestiti dalla Provincia (Albino, Bergamo, Clusone, Grumello del Monte, Lovere, Ponte San Pietro, Romano di Lombardia, Trescore Balneario, Treviglio e Zogno). Di questi, però, ce ne sono oltre 2.500 che risultano esclusi (1.519) o esonerati temporaneamente (1.034) dall’obbligo di sottoscrivere il Patto per il lavoro e, dunque, di cercare un’occupazione, per motivi di salute, oppure perché – pur ricevendo il Reddito di cittadinanza – stanno già lavorando.

I numeri più elevati si registrano in città, con 2.844 persone attualmente in attesa di un lavoro, a Treviglio (1.634) e a Ponte San Pietro (1.125). In due anni le domande giunte agli uffici di tutta la provincia sono 15.944, un terzo delle quali (5.000) solo a Bergamo, per 12.026 persone (molte di queste hanno presentato più domande nel corso degli ultimi 24 mesi). Quasi tutte (10.904, di cui 2.995 in città) hanno sostenuto almeno il primo colloquio per la firma del Patto per il lavoro.

Mancano le competenze

È attraverso questo incontro che il personale dei Centri per l’impiego, che poi si attiva per mettere in contatto domande e offerte di lavoro, è entrato in contatto con coloro che ricevono il Reddito di cittadinanza, per provare a trovare loro un’occupazione. E qui, di solito, arrivano le difficoltà: in circa 2.500 casi è emersa la totale mancanza di esperienze lavorative precedenti alla richiesta del Reddito di cittadinanza; persone che non hanno mai lavorato, nella maggior parte dei casi senza qualifiche, senza competenze digitali e pure sprovvisti di patente (addirittura 3 su 4 non possono guidare). In altre parole, persone che si trovano in condizioni di particolare criticità, tali da rendere difficoltoso l’avvio di un qualsiasi percorso di inserimento lavorativo. Circa 300 di queste, negli ultimi due anni, sono state affidate ai Servizi sociali per il Patto di inclusione sociale. Nella maggioranza dei casi, invece, pur rimanendo in carico ai Centri per l’impiego, sono state candidate per un tirocinio per l’inclusione sociale, coinvolte in corsi di formazione, in corsi di istruzione per adulti o in corsi d’italiano per stranieri e, non da ultimo, verranno tenute in considerazione per esperienze di Progetti utili alla collettività, uno strumento di rafforzamento delle proprie competenze per avvicinare ad un futuro inserimento nel mondo lavorativo.

Tanti altri, pur avendo alle spalle una o più esperienze lavorative, hanno comunque livelli di competenze basse o medio-basse che, oltre ad ostacolare la loro capacità di trovare un impiego stabile e di partecipare alla vita economica e sociale in generale, alimentano in molti casi un atteggiamento di rinuncia alla ricerca, anche in considerazione delle richieste di profili sempre più specializzati che provengono dalle aziende. In pratica, domanda e offerta che non riescono a trovarsi e che rimangono entrambe a bocca asciutta.

Il digital divide

Ma c’è di più: la quasi totalità dei beneficiari del Reddito di Cittadinanza non possiede un computer e non ha alcuna conoscenza in ambito informatico, il cosiddetto digital divide, con conseguente mancanza di autonomia nell’utilizzo degli strumenti digitali; si parla, purtroppo, di gravi inabilità che comportano, ad esempio, il non sapere effettuare una ricerca sul browser o redigere un curriculum, oppure ancora gestire la posta elettronica. Difficoltà di cui spesso deve farsi carico proprio il personale dei Centri per l’impiego.

«Numeri soddisfacenti»

Dati questi presupposti, il fatto di essere riusciti in due anni a creare 2.398 rapporti di lavoro in tutta la provincia rappresenta un risultato tutt’altro che trascurabile.

«Da un’indagine condotta utilizzando la banca dati delle comunicazioni obbligatorie – spiega Silvano Gherardi, dirigente della Provincia del settore Sviluppo e lavoro – a 1.533 persone, pari al 64% di coloro che hanno trovato un lavoro, è stato offerto un contratto a tempo determinato, mentre ad altri 308, pari al 13%, un contratto a tempo indeterminato (gli altri hanno invece sostenuto un periodo di tirocinio, ndr). Possiamo dire pertanto che il 24% dei bergamaschi che usufruiscono del Reddito di cittadinanza e che sono in carico ai Centri per l’impiego sono stati avviati al lavoro. È un risultato che ci sembra soddisfacente, soprattutto considerato il periodo di crisi economica che stiamo vivendo per la pandemia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA