Pioltello, l’affondo dei pm: «Quel giunto non fu sostituito»
IL PROCESSO. Mercoledì 19 giugno la prima parte della requisitoria nel procedimento che vede imputate otto persone: «Gli spazi per la manutenzione furono compressi».
«Da questa storia, riguardando anche tutte le procedure e i vademecum dell’azienda del Gruppo Fs, si evince quella che sembra essere stata per troppo tempo la strategia di Rfi rispetto ai giunti ammalorati. Di quale strategia stiamo parlando? Che si cambia il giunto solo se è rotto e che, se non è rotto, non lo si sostituisce e si tira avanti. Nella convinzione o anche solo nella speranza che l’eventuale svio e deragliamento non determinasse incidenti. Ed è un po’ quello che è successo nel nostro caso».
È stata impietosa la disamina del pm Leonardo Lesti rispetto a chi, come «Rfi, gestisce da monopolista la rete ferroviaria nazionale», nel giorno della requisitoria fiume nel processo a carico dell’ex amministratore delegato di Rfi Maurizio Gentile e di altri sette tra ex dirigenti, dipendenti e tecnici Rfi, che devono rispondere, a vario titolo, di disastro ferroviario colposo, omicidio colposo e lesioni colpose plurime per il deragliamento in prossimità della stazione di Pioltello del treno pendolari regionale 10452 Cremona-Treviglio-Milano del 25 gennaio del 2018.
Il pm Lesti, che ha condotto la requisitoria con grande meticolosità assieme alla collega Maura Ripamonti, ha parlato di una «indagine complessa tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello giuridico».
L’incidente causò la morte di tre persone
Tuttavia, a seguire le argomentazioni di Lesti, «si può dire con certezza, a conclusione degli accertamenti tecnici peritali, che è stata la rottura del giunto nel cosiddetto “punto zero” che ha determinato lo svio del treno» ed «è evidente che questa rottura ha determinato l’evento e la morte di tre persone, tra cui il medico di Caravaggio Ida Maddalena Milanesi e l’impiegata Pierangela Tadini, di Caravaggio, e il ferimento di circa 200» di cui ora deve rispondere «chi non ha provveduto alla corretta manutenzione del giunto che si trovava in condizioni di forte degrado». Gli ha fatto eco la collega Ripamonti: «Il giunto che è saltato è un giunto che aveva più di una decina d’anni, e aveva per così dire gli acciacchi tipici dei vecchi giunti. Nella sua vita aveva fatto un lavoro particolarmente usurante. Usurante per il numero di treni che transitava su quella linea, non meno di 100 al giorno, uno ogni quarto d’ora, e per le diverse sollecitazioni a cui era sottoposto: sollecitazioni di velocità, tonnellaggio e lunghezza, considerato che su quella linea transitavano indifferentemente Regionali, Frecciarossa e treni merci».
Secondo la pm Maura Ripamonti, dietro il più grande disastro ferroviario della Lombardia ci sarebbe stata la «compressione degli spazi manutentivi». «Il problema centrale di questo processo è quello della circolazione, del traffico e della capacità di una linea ferroviaria i cui componenti infrastrutturali subiscono costanti sollecitazioni. Si possono far passare tanti più treni, tanto più quelli che passano sono veloci. Tante tracce orarie erano state vendute e questo ha portato a una compressione degli spazi da dedicare alla manutenzione».
Metà degli addetti erano «non idonei»
In altre parole, «si aumenta lo stress della linea, ma si riducono gli intervalli per fare manutenzione perché per ogni treno che salta la società rischia di dover pagare le penali». Nella requisitoria i magistrati si sono concentrati anche sulla «situazione» del Nucleo manutentivo d’intervento Rfi di Treviglio all’epoca: «La metà degli addetti erano non idonei, fra chi non poteva fare turni notturni e chi non sollevare i pesi. Di effettivi erano in 6-7 – ha concluso – avevano due mezzi, ma nessuno di loro era abilitato a manovrarli».
«L’avviso automatico che parte dal treno diagnostico aveva portato gli operai a intervenire manualmente sui binari, ma la sostituzione dei giunto non è mai arrivata».
Infine, la pm ha ricordato come il primo segnale che il giunto causa del disastro era affaticato si è avuto con «il passaggio del treno Diamante (treno diagnostico, ndr) a febbraio del 2017», per poi «proseguire poi tutti i mesi successivi». Sul momento si era parlato di «difetto geometrico», che fu “curato” con la rincalzatura, cioè intervenendo sul sostegno che sorregge il giunto che invece è sospeso. «Ma si trattava di un difetto che dà problemi e non smette di dare problemi, fino a che non salta. L’avviso automatico che parte dal treno diagnostico aveva portato gli operai a intervenire manualmente sui binari, ma la sostituzione dei giunto non è mai arrivata. La preoccupazione con il passare dei mesi era aumentata, ma nulla è cambiato fino al deragliamento mortale, quando proprio la pm Ripamonti si recò sul luogo dell’incidente e vide che «accanto ai binari, c’erano i giunti nuovi e che nessuno li aveva installati».
Non sono bastate oltre sette ore e mezzo per completare la requisitoria. I due pm proseguiranno nell’udienza calendarizzata per il prossimo 23 luglio. Le eventuali quanto probabili richieste di condanna slittano perciò a quella data.
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