Omicidio a Martinengo, venerdì l’addio a Diego Rota

IL LUTTO. L’ultimo saluto a Brusaporto venerdì 2 febbraio alle 10. La moglie resta ricoverata in Psichiatria: oltre 20 coltellate inferte al 56enne che tentò di difendersi.

Più di venti coltellate inferte tra la schiena, l’addome e il collo. E altre, di striscio, agli arti inferiori: sintomo che Diego Rota si è difeso mentre la moglie Caryl Manghetti gli si scagliava contro impugnando un grosso coltello da cucina, lo scorso venerdì sera nella camera da letto della loro villetta di via Cascina Lombarda a Martinengo. È quanto trapela dall’autopsia sul corpo del cinquantacinquenne, eseguita martedì mattina all’obitorio dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo dal medico legale Luca Verzelletti, incaricato dal sostituto procuratore Laura Cocucci, di chiarire la dinamica dell’omicidio. 

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Al suo fianco era presente anche un suo collega incaricato dalla difesa della donna quarantaquattrenne, che è ricoverata nella stessa struttura sanitaria, nel reparto di Psichiatria. Ora ci vorranno alcuni mesi perché in Procura venga depositata la relazione conclusiva dell’autopsia: l’esame servirà a chiarire meglio la dinamica dei fatti, ma già da quanto emerso appare chiaro che Caryl Menghetti si sia scagliata, armata, come una furia verso il marito. Il quale ha cercato di reagire, impotente di fronte ai fendenti. La Procura ha dato il nulla osta ai funerali, che saranno celebrati venerdì 2 febbraio alle 10 a Brusaporto, il paese d’origine di Rota. Da oggi il feretro del falegname sarà collocato nella casa funeraria delle onoranze funebri «La Pace» di San Paolo d’Argon (in via Nazionale 77) per un saluto.

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La moglie, 45 anni, già nel 2020 era stata ricoverata all’ospedale di Treviglio, in Psichiatria, per psicosi, allucinazioni e comportamento «dereistico», vale a dire astruso dalla realtà. La mattina del giorno in cui avrebbe poi ucciso il marito a coltellate era stata riaccompagnata allo stesso ospedale trevigliese perché in preda ad allucinazioni e a una crisi psicotica. Visitata da uno psichiatra, era poi stata dimessa in giornata con una terapia farmacologica da seguire. Alle 23,30 il tragico epilogo, causato – secondo chi indaga – proprio dai problemi psichici della donna, accentuati da qualche problema sul lavoro (fino a qualche mese fa la Menghetti aveva gestito il chiosco del Parco Suardi di Bergamo). Portata inizialmente in carcere a Bergamo, la donna è poi stata trasferita al «Papa Giovanni», dove lunedì mattina sarebbe dovuta comparire davanti al gip Riccardo Moreschi ma, essendo sottoposta a un trattamento con dei tranquillanti, non è stato possibile per il giudice interrogarla. Il gip ne ha convalidato l’arresto sulla base di quanto ricostruito dalla Procura e dalle istanze presentate dal difensore, l’avvocato Fabrizio Bosio.

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