Medici e infermieri che si sono ammalati
Seicento denunce per Covid all’Inail
Contagiati sul lavoro: 800 casi in Bergamasca. La stragrande maggioranza è personale sanitario. Sedici i morti, a tre famiglie già riconosciuta la rendita.
Principalmente medici, infermieri e operatori sanitari: più di 600. Ma anche chi lavora nei trasporti, nel settore pulizie, personale amministrativo e di front office, cassiere dei supermercati. È il popolo di lavoratori contagiati dal Covid per i quali l’Inail di Bergamo ha aperto una pratica, da quando il coronavirus, per effetto del decreto Cura Italia del 17 marzo scorso, è stato riconosciuto come malattia professionale.
I numeri nella nostra provincia sono alti, i più alti della Lombardia: 800 i casi denunciati dalle aziende e riguardanti dipendenti che hanno contratto il virus. Sedici i casi di mortalità, per tre dei quali l’Inail ha già costituito la rendita a favore degli eredi: uno è quello di Diego Bianco, 46 anni di Montello, l’operatore del 118 in servizio alla centrale di Bergamo morto il 13 marzo scorso nella sua abitazione e risultato positivo al Covid; gli altri due sono il dipendente di una società di onoranze funebri di Osio Sopra (la rendita va alla moglie) e un medico di Nembro (rendita alla moglie e alle due figlie).
«Premesso che i destinatari della tutela sono tutti i lavoratori dipendenti, già assicurati presso l’Inail in base al Testo unico 1124/1965 e al decreto 38 del 2000 – illustra il direttore regionale dell’Inail, Alessandra Lanza – i circa 800 casi denunciati dalle rispettive aziende riguardano Bergamo e provincia e attualmente sono in trattazione presso la sede Inail territoriale di Bergamo. Riguardano, per oltre l’80%, operatori sanitari (medici e infermieri, ndr). Il rimanente 20% è composto, per lo più, da personale amministrativo e di front office, operatori del trasporto e delle pulizie».
Tutte persone colpite da Covid che potrebbero ricevere un risarcimento qualora venisse dimostrato che sono stati contagiate sul posto di lavoro o durante il viaggio casa-lavoro. Sono indagini certosine quelle che riguardano le pratiche, con ispettori Inail che verificano nelle aziende, accertamenti di natura medico legale e di carattere amministrativo. Il che non vuol dire che siano lente. Anzi. La celerità con cui è stata attribuita la rendita alla famiglia di Diego Bianco – poche settimane - ha lasciato sbalorditi per efficienza.
Ora negli uffici Inail di Bergamo sono aperte altre 13 pratiche su lavoratori morti per Covid-19. «Si tratta di tre postini, un’infermiera dipendente da una coop sociale presso una Rsa, il dipendente di un’azienda informatica, il dipendente amministrativo di un ospedale, un chimico farmaceutico, sei tra medici e infermieri - elenca la dottoressa Lanza -. Per ogni caso mortale viene fatta una istruttoria tempestiva e scrupolosa, sia amministrativa che medico-legale, finalizzata a individuare tutti coloro che hanno titolo alle prestazioni. Allo stato sono state concluse otto istruttorie amministrative, comprese le tre rendite già costituite, e le altre otto sono in via di rapida definizione».
Segnalazioni di morti e ammalati Covid tra i lavoratori vengono inoltrate anche alle forze dell’ordine. «I medici dell’Inail – osserva il direttore regionale -, al pari di tutti gli altri medici, previa attenta valutazione, nel caso in cui emergano situazioni di lesione grave o gravissima, e a maggior ragione al cospetto di eventi mortali, sono tenuti a rendere referto alle autorità competenti».
Ai titolari delle aziende il riconoscimento della malattia professionale Covid-19 non costa nulla in più, perché puntualizza Alessandra Lanza, «in base all’articolo 42 del decreto Cura Italia, i casi Covid-19 riconosciuti dall’Istituto non sono computati ai fini dell’oscillazione del tasso per andamento infortunistico e quindi, in sostanza, non comportano alcun aumento del premio assicurativo».
Ancora poche sono le pratiche Covid riguardanti gli infortuni accaduti in itinere, forse perché non molti sanno che pure questa possibilità rientra tra i casi trattati da Inail. «Per tali casi – dice il direttore regionale -, inutile dire che il dato epidemiologico viene in soccorso dell’accertamento medico legale». L’esempio è quello del pendolare che si ammala di coronavirus: se al lavoro ci arriva sul treno che attraversa zone con picchi di contagi come la nostra provincia, facile che gli venga riconosciuta la malattia professionale.
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