Mancano gli educatori: «Stipendi troppo bassi e lavoro impegnativo»

L’ALLARME. Lo lanciano le comunità terapeutiche, le coop e le comunità che operano al servizio di minori e anziani. «Una seria carenza, occorre incentivare la professione».

È una figura fondamentale per le comunità terapeutiche, educative e psichiatriche. Non solo perché la sua presenza è prevista dagli standard fissati dalla Regione per concedere gli accreditamenti. Ma anche perché l’educatore è il professionista che, ogni giorno sta a tu per tu con minori, uomini e donne, anziani con vari tipi di problematiche aiutandoli a superarle, a ritrovare se stessi e a reinserirsi socialmente.

Purtroppo il numero di educatori professionali, titolo che si ottiene conseguendo una laurea in scienze dell’educazione o della formazione, è in continuo calo. Al momento, a quanto risulta sono più di tremila (contando anche gli assistenti educatori nelle scuole). Le comunità stanno facendo sempre più fatica a reperirli (sia direttamente che attraverso cooperative), vedendosi così costrette ad avviare ricerche in tutta Italia.

Purtroppo il numero di educatori professionali, titolo che si ottiene conseguendo una laurea in scienze dell’educazione o della formazione, è in continuo calo

«È vero, stiamo facendo una fatica incredibile a trovarli» conferma Francesco Fossati, presidente del Consorzio Famiglie e accoglienza con sede a Brignano, che ha alle sue dipendenze 700 professionisti di cui circa 400 educatori. Quest’ultimo numero, sebbene possa sembrare alto, è appena sufficiente per seguire tutte le persone in carico alle quattro comunità educative e al Villaggio solidale di Lurano che fanno parte del consorzio. «Se qualcuno decidesse di andare a lavorare altrove saremmo in grande difficoltà» continua Fossati, che poi spiega i motivi della carenza di educatori: «Dobbiamo fare autocritica – sostiene – in primo luogo perché le retribuzioni nelle comunità sono relativamente basse (la cifra media si aggira intorno ai 1.200/1.300 euro netti, ndr): nel nostro caso le abbiamo leggermente aumentate, ma più di tanto non possiamo. In secondo luogo perché non stiamo riuscendo a trasmettere quando importante e appagante sia questo lavoro che però, va ammesso, allo stesso tempo è anche duro: si ha sempre a che fare con persone con vari problemi e bisogna lavorare su turni, comprese le notti e i giorni festivi».

Non c’è solo il problema che il percorso per diventare educatore professionale è sempre meno scelto dai giovani. C’è anche quello di coloro che, una volta laureati, «si imbattono con una realtà che ritenevano più semplice»

«Siamo davvero in uno stato di emergenza» dice Enrico Coppola, presidente dell’Aga (Associazione genitori antidroga) che nelle sue strutture terapeutiche di Pontirolo e Treviglio può al momento contare su una quindicina di educatori professionali. Per Coppola non c’è solo il problema che il percorso per diventare educatore professionale è sempre meno scelto dai giovani. C’è anche quello di coloro che, una volta laureati, «si imbattono – spiega – con una realtà che ritenevano più semplice. Recentemente un giovane educatore ha fatto da noi una giornata di prova. Il giorno dopo ci ha chiamato che non sarebbe più venuto perché riteneva il lavoro troppo duro». Per il presidente dell’Aga, quindi, sarebbe arrivato il momento di una sanatoria: «Conosciamo persone pronte e preparate – spiega – che, però, non possono essere assunte come educatori perché non hanno il titolo di studio. La Regione dovrebbe concederci di farlo, previo svolgimento di un corso professionale. A questa soluzione si era già ricorsi nel 2003 e aveva dato i suoi frutti. Ora avrebbe un senso riadottarla». Nelle comunità psichiatriche c’è un altro tipo di educatore di cui si sente sempre più la necessità: quello professionale sanitario (che deve seguire un percorso di studi diverso da quello dell’educatore professionale «normale»).

«Stiamo facendo i salti mortali per trovarli» dice Raffaele Casamenti, presidente della cooperativa sociale Aeper, con sede a Bergamo, che ha nella Bergamasca diverse strutture (comunità psichiatriche ma anche educative) al cui interno operano una sessantina di educatori professionali e una quindicina di educatori professionali sanitari. Secondo Casamenti è quello salariale il problema principale che sta facendo calare le persone disposte a diventare un educatore: «Bisogna però attenersi a contratti, ne vale anche la sostenibilità dei nostri bilanci – conclude –. Dall’altro canto non possiamo fare a meno di loro. E non solo per rispettare i parametri fissati dalla Regione, ma perché è grazie a loro se riusciamo a portare avanti il lavoro che dobbiamo svolgere. Altrimenti non ce la faremmo».

Il problema del salario basso potrebbe essere alleggerito attraverso degli incentivi o interventi sul welfare

Come intervenire

La questione è seguita da vicino anche da organizzazioni di categoria come l’Uneba Bergamo e la Confcooperative Bergamo che confermano la carenza sul territorio degli educatori professionali. Per Fabrizio Ondei, presidente dell’Uneba Bergamo, il problema del salario basso potrebbe essere alleggerito attraverso degli incentivi o interventi sul welfare: «Poi, però deve essere chiaro che lavoriamo in uno dei settori lavorativi meno pagati. Ma, nonostante ciò, non abbandoniamo la nostra professione perché, per noi, il vero ritorno è il sorriso delle persone con cui operiamo. E dobbiamo far capire ai giovani che anche questo è molto importante, non solo lo stipendio». «Il lavoro di cura è generalmente poco valorizzato, sia dal punto di vista economico che sociale – evidenzia O mar Piazza, vicepresidente di Confcooperative Bergamo – su questi fronti c’è bisogno di un miglioramento».

E un’occasione potrebbe venire dal futuro contratto delle cooperative sociali in fase di rinnovo. Piazza siederà al tavolo della trattativa in rappresentanza delle cooperative della Lombardia: «Ci impegneremo per rendere il lavoro dell’educatore professionale più attrattivo dal punto di vista economico».

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