«Infermieri, nelle case di riposo è un’emorragia: ne mancano almeno 100»
Dopo l’esodo in ospedali e centri vaccinali le case di riposo sono in emergenza: «Non si trovano». Appello alla Regione: «Servono prestiti dalle Asst».
Almeno un centinaio di posti disponibili, subito. Posti a tempo indeterminato di cui non si può più fare a meno, nelle 65 residenze sanitarie assistenziali per anziani della Bergamasca. Qui c’è fame di infermieri, una figura professionale la cui presenza costante è indispensabile nelle case di riposo, ma non scontata. «Siamo in emergenza – spiega Costantino Papageorgiou, direttore sanitario delle Rsa di Cividate al Piano e Gorlago –. Assistiamo da tempo a una fuga di infermieri dalle nostre strutture verso gli ospedali, ma anche verso gli hub vaccinali dove sono offerti alti compensi. Inoltre, con le Case di comunità, sta per essere avviata una nuova forma di assistenza domiciliare territoriale, con ulteriore richiesta di infermieri». Serve agire, trovare modi o incentivi per cambiare la rotta. «Il punto fondamentale è che non è mai stato fatto un censimento – prosegue Papageorgiou – per valutare il rapporto tra infermieri presenti in struttura e l’optimum. Se la Regione, il governo centrale non hanno il dato, come fanno a pensare a come aiutarci? Ci va di mezzo la vita delle persone». La riflessione si incrocia con i tempi difficili che ci siamo lasciato alle spalle e le previsioni: «Siamo a distanza di 18-19 mesi dall’inizio della pandemia – aggiunge –, c’è la quarta ondata in arrivo e noi siamo disarmati, senza personale».
Ne va di mezzo l’assistenza ai 6 mila anziani ospitati nelle Rsa bergamasche: «È previsto un minutaggio di assistenza (che comprende figura infermieristica, medica, fisioterapista, operatore Asa e Oss) di 901 minuti per ospite la settimana. Ma se manca l’infermiere, non si può compensare il suo ruolo con le altre figure: le diagnosi infermieristiche, la rilevazione di parametri nel contesto di un emergenza clinica e la gestione del paziente critico sono compiti del medico e dell’infermiere». Certo i salti mortali si fanno e spesso, «di notte, se non c’è l’infermiere, siamo noi medici a rientrare in Rsa, se abbiamo un paziente che non sta bene, ma se i sacrifici diventano la normalità, per una situazione che non si vuole risolvere, allora ci si stanca».
Per trovare una soluzione, si chiama in campo la Regione: «Va fatto un censimento, va valutato struttura per struttura il rapporto di assistenza – prosegue il medico –, per spostare gli infermieri da quelle più dotate a quelle più carenti, ma anche dagli ospedali alle Rsa».
La proposta
Soluzione che basterebbe copiare: l’hanno già adottata le Regioni Veneto e Piemonte, «qui sono stati stretti accordi – spiega Barbara Manzoni, presidente dell’Associazione San Giuseppe che riunisce una trentina di Rsa di ispirazione cattolica –, in modo che dagli ospedali possano uscire infermieri che si possano dedicare alle Rsa in carenza». Infermieri che restano dipendenti delle Asst e vengono temporaneamente distaccati nelle Rsa più in difficoltà.
«Regione Lombardia invece – prosegue Manzoni – non si è pronunciata e ci preoccupa molto, temiamo ci possano avere problemi nell’attività ispettiva a cui siamo soggetti». Intanto ci si aiuta tra una struttura e l’altra per poter garantire i turni, «si va avanti con grandi sacrifici. Regione Lombardia ci dia dei piani organizzativi – è l’appello –. È vero che le nostre strutture si sono molto impegnate per cercare di tenersi gli operatori, anche con dei superbonus, ma non è sufficiente, perché le Rsa non risultano essere un ambiente attrattivo come ospedali o centri vaccinali. La cronicità, la malattia mentale e l’assistenza geriatrica non sempre è compresa dagli operatori, l’ospedale ha più appeal. Ma ho anche assunto persone dagli ospedali stanche da ritmi frenetici e dal fatto di seguire meno il paziente, mentre noi, se abbiamo il personale sufficiente, riusciamo ad avere turni stabili che consentono di pianificare la propria vita privata».
Insomma, il lavoro c’è, per gli infermieri, nelle Rsa: «C’è una grandissima disponibilità di posti – prosegue Manzoni – e saremmo molto contenti di assumere. Vogliamo fare uno sforzo ulteriore dando anche compensi adeguatamente maggiorati: non applichiamo solo il contratto nazionale». E si parla di «un centinaio di infermieri a tempo indeterminato almeno, nella nostra provincia».
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