È emergenza lavoro. La Caritas: aumentati i «nuovi poveri»

Dopo oltre un anno di pandemia, ormai è chiaro che il Covid-19 non ci ha portato in dote solamente un’emergenza sanitaria, ma anche una crisi lavorativa ed economica di cui ancora non si vede la fine.

La conseguenza più immediata di questa crisi che ha colpito il mondo del lavoro, causata soprattutto dalle lunghe chiusure derivanti dalle misure anti-coronavirus, è stata la nascita dei cosiddetti «nuovi poveri», di quelle persone che, proprio a causa della pandemia, si sono ritrovate per la prima volta a dover chiedere aiuto, soprattutto a livello economico. Piccoli esercenti, lavoratori stagionali del turismo e della cultura, organizzatori di eventi, albergatori, ristoratori, camerieri, partite Iva: tante le categorie travolte dalle chiusure, già a partire dal lockdwon di marzo 2020.

Si tratta di una nuova realtà fotografata a livello nazionale, ma di cui purtroppo abbiamo conferma dalle Caritas anche nella Bergamasca. A inizio pandemia le richieste erano soprattutto per i pacchi alimentari, ma via via le richieste legate all’economia delle famiglie sono diventate sempre di più, e la maggior parte di chi ha chiesto aiuto ormai più di un anno fa non è ancora riuscito a tornare ad essere autonomo. «Noi fin da marzo 2020 – dichiara Daniela Carrara, referente della Caritas di Bonate Sopra – abbiamo visto un notevole aumento delle famiglie che chiedevano i pacchi viveri e che quindi erano in difficoltà a livello economico per fare spesa ed arrivare a fine mese mettendo qualcosa in tavola. Pre-pandemia avremo avuto 10-12 famiglie da aiutare. Col Covid-19 siamo arrivati a 30 famiglie e anche ora siamo su questi numeri».

Un numero, quello delle famiglie aiutate, che quindi è più che raddoppiato da inizio pandemia ad oggi a Bonate Sopra. A Dalmine, invece, «siamo passati – racconta la responsabile della Caritas, Fulvia Lupini – da circa 60 famiglie a cui davamo sostegno pre-Covid alle 90 a fine 2020 per poi tornare ora ancora a circa una sessantina, perché fortunatamente qualcuno ha ricominciato a lavorare e a camminare per conto suo. Molti nuovi poveri li abbiamo aiutati con progetti di economia domestica, perché avevano difficoltà nella gestione del denaro per le spese per casa e famiglia e questo non permetteva loro di arrivare a fine mese. Tanti però sono rimasti senza lavoro o in cassa integrazione a lungo (prendendola con mesi di ritardo inoltre), senza riuscire quindi più a mantenersi: noi li aiutiamo con il mutuo, le bollette, gli alimenti. Penso che chi lavora nel settore della ristorazione e in quello del turismo avrà ancora difficoltà finché la ripresa non sarà completa».

Tanti, fra i nuovi poveri, sono anche gli italiani che hanno chiesto aiuto, ma tanti sono anche coloro i quali seppur in una situazione economica critica non hanno voluto farsi aiutare. «Il Covid-19 – continua Lupini – ha toccato tutte le famiglie indistintamente, quindi anche gli italiani. Noi ci siamo accorti, assieme al servizio sociale, che chi ha fatto domanda ai servizi sociali del bonus spesa e chi ha chiesto alla Caritas il fondo Ricominciamo Insieme (creato dalla Diocesi di Bergamo, con il sostegno di banca Intesa Sanpaolo, proprio per il Covid-19, ndr) spesso erano famiglie che avevano diritto ad entrambi ma non avevano mai chiesto aiuto prima. E poi vi è anche una povertà sommersa, una serie di persone che non vuole farsi aiutare e nonostante le nostre proposte vuole andare avanti da sola, non sappiamo come, ma lo fa». Un incremento notevole di richieste di aiuto si è registrato anche nella media pianura. «Complessivamente, ora – spiega Chiara Longhi, coordinatrice Caritas Romano di Lombardia –, seguiamo circa 600 persone, quindi circa 300 famiglie. L’aumento rispetto all’utenza classica del periodo pre-Covid è stato del 40% e sono famiglie che comunque seguiamo tuttora, perché non è che è tutto finito e che stanno tutti bene, anzi i problemi ci sono ancora, dalle bollette alle rette scolastiche, gli affitti, i mutui, le visite mediche non mutuabili: il bisogno grosso è su queste cose. Circa 100 di queste nostre famiglie hanno avuto accesso al fondo Ricominciamo Insieme, che sui 5 milioni complessivi stanziati per la Bergamasca ci ha assegnato, come zona pastorale (che comprende quindi Romano di Lombardia, Cavernago, Mornico, Bariano, Morengo, Pagazzano, Martinengo, Ghisalba), 350 mila euro».

A discostarsi in parte dal boom di nuovi poveri è invece Lovere, dove il parroco, don Alessandro Camadini, spiega che «essendo Lovere una realtà con tanti anziani in pensione non c’è stato un incremento considerevole di richieste di aiuto. Quello che più ci preoccupa è l’onda lunga del Covid, soprattutto per i risvolti psicologici e relazionali che potrà avere sui più giovani».

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