Dopo sette mesi di Covid il poliziotto si sposa: «Era il nostro grande sogno»
Franco Ferrari aveva rischiato di non farcela. Sabato 29 maggio il «sì» a Elena: «Arriva dopo un anno di lacrime». In Sala Crociera a Treviglio gli amici e i colleghi del commissariato.
«Dopo un anno di lacrime e sorrisi, finalmente riusciamo a realizzare il nostro sogno». Ancora un po’ frastornato, visibilmente emozionato, Franco Ferrari sorride subito dopo la fine della cerimonia nella solenne Sala Crociera del Centro civico culturale di Treviglio. E lo fa mentre stringe forte la mano a Elena, la donna che da pochi minuti è diventata sua moglie: nell’altra lei stringe il bouquet e i due si girano verso i presenti – distanziati, ma numerosi – mentre un applauso accoglie la loro unione e riecheggia nella grande sala.
Un «sì» che per Franco, 58 anni, da una vita nella polizia di Stato, un anno fa era tutt’altro che scontato: il poliziotto, in servizio al commissariato di Treviglio, si era ammalato di Covid-19 all’inizio della pandemia, la scorsa primavera, forse contraendo il virus mentre effettuava i primi servizi di controllo in centro, quando il primo, rigoroso lockdown vietava a tutti anche solo di uscire di casa. A tutti ma non ai poliziotti e Franco, noto a Treviglio per la sua affabilità e professionalità, non si era tirato certo indietro.
Però il coronavirus l’aveva colpito in maniera molto grave: per sette lunghi mesi aveva lottato tra la vita e la morte, finendo in Terapia intensiva e rischiando più volte di non farcela. Le notizie sul suo stato di salute si erano rimbalzate per mesi tra i trevigliesi (e non solo) preoccupati: Franco era una presenza costante a Treviglio e la sua cordialità sarebbe dovuta tornare. Erano seguiti mesi di preghiere e speranze.
Anche il questore Maurizio Auriemma – che ieri ha mandato ai neosposi un sentito messaggio d’auguri – lo aveva preso come esempio e simbolo di speranza, il 27 settembre, alla Messa per l’anniversario di fondazione della polizia di Stato nel duomo di Città Alta: «Se ce la sta facendo Franco, vuol dire che dobbiamo dare di più – aveva detto –: è stato ed è un esempio di forza e coraggio, oltre che di stimolo per tutti noi». Le preghiere, unite alla forza di volontà di Franco, sono state esaudite e il poliziotto è tornato a casa. Non solo quella dove abita con Elena, che da ieri è anche sua moglie, ma anche nella sua «casa lavorativa»: la questura e il commissariato, dov’è stato ri-accolto con emozione il 29 ottobre, poco dopo le dimissioni, arrivate al termine di 7 lunghi e preoccupanti mesi di battaglia contro il Covid, tra cure e riabilitazione. E ieri ecco quindi l’atteso matrimonio, celebrato dal sindaco Juri Imeri e che ha di fatto sancito la fine di un periodo di lacrime – «ma anche qualche sorriso», precisa Franco – e l’inizio di un altro. Accanto al dirigente del commissariato Marco Cadeddu, Franco ed Elena sorridono dietro le mascherine trasparenti indossate (almeno da loro) per l’occasione. Lei indossa un abito bianco semplice, minimale e raffinato: un vestito senza fronzoli, scivolato e con leggero strascico. Lui è rigoroso nel suo completo blu con un elegante panciotto avorio, quasi indossasse anche in questa lieta circostanza l’amata divisa che veste dal 5 dicembre del 1981.
«Sono contento di condividere con voi questa giornata che arriva dopo sette mesi di grande sofferenza, diventati poi testimonianza di fede, forza e condivisione», dice il sindaco agli sposi, donando la spilla del Comune: «È un gesto di gratitudine per il servizio alla città, ma soprattutto per l’esempio rappresentato nella sua difficile battaglia. Franco, se hai avuto tanto affetto, è perché hai seminato tanto». Tutt’intorno parenti e amici, tanti in divisa. Sono gli stessi che per sette mesi avevano pregato e sperato di rivedere quel sorriso stupito che Franco ha finalmente ritrovato e che, dopo il sì, è sembrato ancora più radioso.
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