Donne maltrattate, già 152 casi nel 2022. «Figli spesso usati come arma di ricatto»
L’allarme. I dati del centro antiviolenza Sirio di Treviglio: il 60% sono italiane, 71 quelle inserite nei percorsi. In 8, con altrettanti figli, collocate in strutture protette. Cinzia Mancadori: «Sempre importante denunciare».
Il dato è come sempre impressionante perché nasconde quantomeno altrettante nuove situazioni di violenza domestica. Da gennaio a ieri ben 152 donne si sono rivolte allo sportello antiviolenza Sirio di Treviglio: di queste, 71 sono state prese in carica dalle operatrici, ovvero avviate in specifici percorsi di aiuto, mentre 8 – con altrettanti figli – sono state allontanate dal compagno o marito violento e collocate a vivere in strutture protette. E c’è un fenomeno, non nuovo ma che pare essersi acuito quest’anno, che caratterizza molti dei casi arrivati all’attenzione di Sirio: «Se è vero che, nella maggior parte dei casi, quando si interrompe la convivenza finisce la violenza fisica – spiega Cinzia Mancadori, responsabile del Centro antiviolenza Sirio –, purtroppo molto spesso quella forma di controllo possessivo e psicologico continua, soprattutto quando c’è la presenza di figli. Il figlio rimane quell’elemento che consente all’uomo violento di continuare ad agire verso la ex con minacce e violenze».
Da gennaio a oggi ben 152 donne si sono rivolte allo sportello antiviolenza Sirio di Treviglio
In pratica il figlio viene strumentalizzato e usato come una sorta di arma di ricatto: «Può capitare, per esempio, che lui non rispetti magari gli orari per tenere il figlio e chiamare la ex compagna dicendo di incontrarsi un’ora prima – prosegue Mancadori – e, quando lei risponde di non esserci perché l’ora concordata era un’altra, lui ha la scusa pronta, orchestrata da lui stesso, per attaccare la donna e accrescere i suoi sensi di colpa, di fatto facendo un uso strumentale dei propri figli per continuare la violenza, in questo caso psicologica, e aggiungerci delle minacce del tipo: “Se continui così, i figli te li portano via”. Una dinamica ben studiata, insomma, che spesso diventa una scusa per impedire alla ex, per esempio, di trascorrere il fine settimana da qualche parte. L’idea di chiamare la donna e dire “Ti riporto prima la bambina”, quando lei è via e quelli non erano gli accordi, rappresenta un ulteriore modalità di commettere violenza verso la ex, anche quando non c’è più la convivenza ma resta appunto il legame per via dei figli.
Questo è un aspetto preoccupante perché provoca nella donna sentimenti di frustrazione e delusione». Casi del genere avvengono anche a distanza di alcuni anni dalla conclusione della convivenza: «A volte anche tre anni dopo, quando l’uomo ha già nel frattempo avuto anche altre relazioni, ma questa volontà di voler continuare a danneggiare e fare violenza psicologica, attraverso l’idea di possessione della ex non si è ancora placata. E anche questa è una forma di maltrattamento», rileva Mancadori.
Il figlio viene strumentalizzato e usato come una sorta di arma di ricatto:
Quanto ai dati di questi primi (quasi) nove mesi del 2022, il 60% delle 152 donne che si sono rivolte al centro antiviolenza di Sirio è italiana. E non sono mancate le criticità: «Si fa sempre un po’ fatica – aggiunge la responsabile del centro antiviolenza trevigliese – a far capire alle donne che hanno sporto denuncia il funzionamento dei meccanismi della giustizia. Spesso infatti si aspettano un intervento immediato nei confronti dell’uomo violento, mentre nella realtà vengono seguite le procedure specifiche per ciascun caso: quando il magistrato ne ravvede l’urgenza interviene subito, mentre quando la situazione non appare così grave, parte un iter necessariamente più lungo, in cui nulla viene sottovalutato, ma che ha i suoi tempi. Le donne in quel caso si sentono a disagio e ci confidano che denunciare non è servito a nulla e che aveva ragione l’ex a dire che non le avrebbero mai creduto. Invece non è così. Infatti, grazie alla rete interistituzionale antiviolenza “Non sei sola”, della quale tra l’altro Treviglio è il Comune capofila, la collaborazione tra noi, forze dell’ordine e magistratura consente di arrivare a indicazioni ben chiare sugli interventi da effettuare di fronte a ogni denuncia».
Conclude Mancadori: «Il confronto con le forze dell’ordine e la procura resta infatti l’unico strumento per mettere chi maltratta di fronte alle proprie responsabilità da parte di qualcuno di autorevole, esterno alla coppia, che possa ridimensionare quell’idea di onnipotenza che caratterizza l’uomo che maltratta».
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